Cassazione penale, Sezione III, 29 gennaio 2001, n. 11716
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.: Dott. Davide AVITABILE Presidente
1. Dott. Aldo FIALE Consigliere 2. Dott. Francesco NOVARESE Consigliere
3. Dott. Amedeo FRANCO Consigliere 4. Dott. Giovanni AMOROSO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: 1 - Procuratore della Repubblica presso
la Corte di Appello di Bari 2.- Avvocatura dello Stato per il Ministero
dell'ambiente e per il Ministero dei beni culturali ed ambientali
(oggi Ministero dei beni e le attività culturali) - parte
civile 3. <A. I. per il W.> - parte civile 4. - <A. L.
N.> e <L. R. P.> - parti civili avverso la sentenza 5.6.2000
della Corte di Appello di bari, pronunziata nei confronti di: 1
- <M. M.>, n. ad Andria il 18.3.1932 2.- <M. V.>, n.
ad Andria il 25.5.1937 3.- <M. S.>, n. a Bari il 30.4.1962
4 - <A. D.>, n. a Bari il 7.9.1939 5 - <S. L. A.>,
n. a Bitonto l'1.1.1944 6 - <Q. A.>, n. a Bari il 18.3.1929
7 - <B. L.>, n. a Bari il 26.7.1958 8.- <M. L.>, n.
a Bari il 25.2.1965
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi.
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal dr. Aldo FIALE.
Udito il Pubblico Ministero in persona del dr. Aurelio GALASSO
che ha concluso per la non manifesta infondatezza della questione
di incostituzionalità dell'art. 146 D.Lgs. n. 490-1999 e,
in via subordinata, per il rigetto dei ricorsi.
Udito, per le parti civili gli Avv.ti Pio Giovanni MARRONE, Giuseppe
SPAGNOLO e Fulvio AMATO
Uditi i difensori Avv.ti Franco COPPI, Giuseppe GUARINO, Franco
SCOCA, Pasquale MEDINA, Aurelio GIRONDA VERALDI, Domenico DI TERLIZZI,
i quali hanno concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi
Fatto
Il G.I.P. della Pretura di Bari, con sentenza 10.2.1999 pronunciata
in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato, assolveva
con la formula "perché il fatto non costituisce reato":
1. <M. M.> nato nel 1932 (nella qualità di amministratore
unico della s.r.l. "<S. F.>", committente delle
opere e titolare della concessione edilizia n. 67-1992 del 19.1.1995,
nonché di rappresentante legale della s.p.a. "<M.
S.>", impresa esecutrice dei lavori), <M. V.> (nella
qualità di rappresentante legale della s.p.a. "<M.
S.>", impresa esecutrice dei lavori), <M. S.> e <M.
M.>nato nel 1965 (entrambi nella qualità di direttori
dei lavori assentiti con la concessione- edilizia n. 67-1992) dalle
contravvenzioni contestate come permanenti! di cui:
a) all'art. 1 sexies legge n. 431-1985, per avere realizzato in
Bari, località Punta Perotti - sulla base della lottizzazione
n. 141-1989 e della concessione edilizia n. 67-1992 del 19.1.1995
- una trasformazione urbanistica dell'assetto del territorio attraverso
l'edificazione di due corpi di fabbrica immobile A), di 13 piani
fuori terra, uno interrato più torrino sul lastrico solare,
per circa mc. 67.754, alto circa ml. 45, lungo circa ml. 97,63,
profondo circa ml. 13,20, con balconate aggettanti per ml. 3,50;
immobile B), di 11 piani fuori terra ed uno interrato, per circa
mc. 55.612, alto circa ml. 45, lungo circa ml. 81,94, profondo
circa ml. 13,20, con balconate aggettanti per ml. 3,40! in territorio
costiero posto nelle fasce della profondità di 300 metri
dalla linea di battigia e di 150 metri dal piede dell'argine del
torrente Valenzano, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere previamente ottenuto il prescritto nulla - osta paesistico
della Giunta Regionale;
b) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte in mancanza di un piano di lottizzazione
valido (perché adottato ed approvato in zona sottoposta
a vincolo di inedificabilità assoluta e comunque senza il
prescritto parere preventivo del Comitato urbanistico regionale)
e con concessione edilizia inefficace (perché priva del
nulla - osta paesistico);
c) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte con concessione edilizia illegittima,
perché rilasciata:
- in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere previamente ottenuto il prescritto nulla - osta paesistico
della Giunta Regionale;
- in mancanza di un piano di lottizzazione valido;
- con un rapporto tra volumetria edificabile ed area disponibile
di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per le c.d. zone bianche,
stante la mancata tempestiva approvazione dello strumento urbanistico
attuativo prescritto dal P.R.G.;
d) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte in totale difformità e comunque
in variazione essenziale rispetto alla concessione edilizia n.
67-1992, per modifiche di sagoma e prospetto;
e) all'art. 20, lett. a), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte con violazione di norme, prescrizioni
e modalità esecutive previste dalle leggi urbanistiche ed
edilizie, dai regolamenti edilizi e dagli strumenti urbanistici;
f) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
una lottizzazione abusiva, avendo eseguito le opere relative alla
lottizzazione n. 141-1989:
- sulla base di un piano lottizzatorio approvato (in data 11.5.1992)
in difformità da quello adottato (in data 20.3.1990) con
riferimento alla sagoma degli edifici destinati a terziario, risultando
così carente il piano, sotto tale profilo, del controllo
di legittimità del Consiglio comunale;
- estendendo a mq. 59.761 la superficie del terreno da lottizzare,
rispetto ai mq. 58.410 approvati, con aumento del volume edificabile
per mc. 6.755, di cui mc. 3.652 destinati a residenza (pari a dieci
appartamenti di circa mq. 100), senza cedere al Comune la relativa
superficie minima a standards di almeno 730 mq.;
- sulla base di un rapporto tra volumetria edificabile ed area
disponibile di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per le c.d.
zone bianche, stante la mancata tempestiva approvazione dello strumento
urbanistico attuativo previsto dal P.R.G.;
- in territorio costiero posto nelle fasce della profondità di
300 metri dalla linea di battigia e di 150 metri dal piede dell'argine
del torrente Valenzano, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere, prima della definitiva approvazione della lottizzazione,
ottenuto il parere del Comitato urbanistico regionale previsto
dagli artt. 21 e 27 della legge regionale n. 56-1980.
g) all'art. 734 cod. pen., per avere, mediante la realizzazione
delle opere anzidette, distrutto ed alterato le bellezze naturali
della località Punta Perotti, soggetta alla speciale protezione
dell'Autorità.
2. <A. D.> (nella qualità di amministratore unico
della s.r.l. "<Ma.B.>", società committente
titolare della concessione edilizia n. 436 del 2.10.1995 e della
concessione in variante n. 163 del 3.5.1996, nonché di legale
rappresentante della impresa esecutrice dei lavori "<G.
A. F. I.>") e <S. L. D.> (nella qualità di
direttore dei lavori assentiti con la concessione edilizia n. 436
del 2.10.1995 e con la concessione in variante n. 163 del 3.5.1996)
dalle contravvenzioni contestate come permanenti! di cui:
h) all'art., 1 sexies legge n. 431-1985, per avere realizzato
in Bari, località Punta Perotti - sulla base della lottizzazione
n. 151-1989, della concessione edilizia n. 436 del 2.10.1995 e
della concessione in variante n. 163 del 3.5.1996 - una trasformazione
urbanistica dell'assetto del territorio, consistita in uno scavo
profondo e fondamenta con realizzazione di pilastri in cemento
armato, nonché muro di contenimento in cemento armato, in
territorio costiero posto nelle fasce della profondità di
300 metri dalla linea di battigia, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere previamente ottenuto il prescritto nulla - osta paesistico
della Giunta Regionale;
i) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere di cui alle concessioni edilizie dianzi descritte in mancanza
di un piano di lottizzazione valido (perché adottato ed
approvato in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta
e comunque senza il prescritto parere preventivo del Comitato urbanistico
regionale) e con concessione edilizia inefficace (perché priva
del nulla - osta paesistico);
j) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte con concessione edilizia illegittima,
perché rilasciata:
- in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere previamente ottenuto il prescritto nulla - osta paesistico
della Giunta Regionale;
- in mancanza di un piano di lottizzazione valido;
- con un rapporto tra volumetria edificabile ed area disponibile
di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per le c.d. zone bianche,
stante la mancata tempestiva approvazione dello strumento urbanistico
attuativo prescritto dal P.R.G.
k) all'art. 20, lett. a), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte con violazione di norme, prescrizioni
e modalità esecutive previste dalle leggi urbanistiche ed
edilizie, dai regolamenti edilizi e dagli strumenti urbanistici;
l) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
una lottizzazione abusiva, avendo eseguito le opere relative alla
lottizzazione n. 151-1989:
- sulla base di un piano lottizzatorio il cui progetto non rispettava
il parametro relativo alla superficie minima di intervento di mq.
50.000;
- sulla base di un piano lottizzatorio approvato (in data 11.5.1992)
in difformità da quello adottato (in data 20.3.1990) con
riferimento alla soluzione planovolumetrica, al pianificato urbanistico,
al programma edilizio ed anche ai soggetti istanti, risultando
cosi carente il piano, sotto tale profilo, del controllo di legittimità del
Consiglio comunale;
- conseguendo, con lo strumento di variante di lottizzazione relativa
al comparto C), un aumento di volumetria di mc. 508 (da mc. 13.072
a mc. 13.580);
- sulla base di un rapporto tra volumetria edificabile ed area
disponibile di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per le c.d.
zone bianche, stante la mancata tempestiva approvazione dello strumento
urbanistico attuativo prescritto dal PR.G.;
- in territorio costiero posto nella fascia della profondità di
300 metri dalla linea di battigia, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere, prima della definitiva approvazione della lottizzazione,
previamente ottenuto il parere del Comitato urbanistico regionale
previsto dagli artt. 21 e 27 della legge regionale n. 56-1980;
- m) all'art. 734 cod. pen., per avere, mediante la realizza ione
delle opere anzidette, distrutto ed alterato le bellezze naturali
della località Punta Perotti, soggetta alla speciale protezione
dell'Autorità.
3. <Q. A.> (nella qualità di amministratore unico
della s.r.l. "<I.>", società committente
titolare della concessione edilizia n. 284 del 13.7.1995 e della
concessione in variante n. 5257 del 4.4.1996, nonché esecutrice
dei lavori) e <B. L.> (nella qualità di direttore
dei lavori assentiti con la concessione edilizia n. 284 del 13.7.1995
e con la concessione in variante n. 5257 del 4.4.1996) dalle contravvenzioni
contestate come permanenti! di cui:
n) all'art. 1 sexies legge n. 431-1985, per avere realizzato in
Bari, località Punta Perotti - sulla base della lottizzazione
n. 151-1989, della concessione edilizia n. 284 del 13.7.1995 e
della concessione in variante n. 5275 del 4.4.1996 - una trasformazione
urbanistica dell'assetto del territorio, consistita nella realizzazione
di un edificio di n. 11 piani con torrino sul lastrico solare,
completo nella struttura portante ma sprovvisto di tramezzature
interne e parzialmente di muri di tompagno, in territorio costiero
posto nella fascia della profondità di 300 metri dalla linea
di battigia, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere previamente ottenuto il prescritto nulla - osta paesistico
della Giunta Regionale;
o) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte in mancanza di un piano di lottizzazione
valido (perché adottato ed approvato in zona sottoposta
a vincolo di inedificabilità assoluta e comunque senza il
prescritto parere preventivo del Comitato urbanistico regionale)
e con concessione edilizia inefficace (perché priva del
nulla - osta paesistico);
p) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte con concessione edilizia illegittima,
perché rilasciata:
- in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere previamente ottenuto il prescritto nulla - osta paesistico
della Giunta Regionale;
- in mancanza di un piano di lottizzazione valido;
- con un rapporto tra volumetria edificabile ed area disponibile
di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per le c.d. zone bianche,
stante la mancata tempestiva approvazione dello strumento urbanistico
attuativo prescritto dal PR.G.;
- con illegittimo rilascio della concessione in variante n. 5275
del 4.4.1996;
q) all'art. 20, lett. a), legge n. 47-1985, per avere realizzato
le opere dianzi descritte con violazione di norme, prescrizioni
e modalità esecutive previste dalle leggi urbanistiche ed
edilizie, dai regolamenti edilizi e dagli strumenti urbanistici;
r) all'art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere realizzato
una lottizzazione abusiva, avendo eseguito le opere relative alla
lottizzazione n. 151-1989:
- sulla base di un piano lottizzatorio il cui progetto non rispettava
il parametro relativo alla superficie minima di intervento di mq.
50.000;
- sulla base di un piano lottizzatorio approvato (in data 11.5.1992)
in difformità da quello adottato (in data 20.3.1990) con
riferimento alla soluzione planovolumetrica, al pianificato urbanistico,
al programma edilizio ed anche ai soggetti istanti, risultando
così carente il piano, sotto tale profilo, del controllo
di legittimità del Consiglio comunale;
- conseguendo, con lo strumento di variante di lottizzazione relativa
al comparto C), un aumento di volumetria di mc. 508 (da mc. 13.072
a mc. 13.580);
- sulla base di un rapporto tra volumetria edificabile ed area
disponibile di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per le c.d.
zone bianche, stante la mancata tempestiva approvazione dello strumento
urbanistico attuativo prescritto dal PR.G.;
- in territorio costiero posto nella fascia della profondità di
300 metri dalla linea di battigia, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta
e senza avere, prima della definitiva approvazione della lottizzazione,
ottenuto il parere del Comitato urbanistico regionale previsto
dagli artt. 21 e 27 della legge regionale n. 56-1980;
s) all'art. 734 cod. pen., per avere, mediante la realizzazione
delle opere anzidette, distrutto ed alterato le bellezze naturali
della località Punta Perotti, soggetta alla speciale protezione
dell'Autorità.
Il G.I.P. affermava la sussistenza "di tutte le violazioni
di legge contestate dalla pubblica accusa" ma riteneva che
gli imputati dovessero andare esenti da pena, ai sensi dell'art.
5 cod. pen. come interpretato dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 364 del 24.3.1988, "poiché dagli atti processuali
scaturisce il dubbio che gli stessi siano incorsi in errore scusabile
nell'interpretazione delle norme violate".
Disponeva, ai sensi dell'art. 19 della legge n.47-1985 la confisca
e l'acquisizione al patrimonio del Comune di Bari dei suoli e dell'intero
complesso immobiliare di cui ai piani di lottizzazione n. 141-1989
e n. 151-1989.
Sui gravami proposti da tutti gli imputati, nonché dal Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari, dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari e, per
le parti civili costituite, dall'Avvocatura dello Stato per il
Ministero dell'ambiente e per il Ministero dei beni culturali ed
ambientali, e dall'<A. I. per il W.>, la Corte di Appello
di Bari - con sentenza 5.6.2000 - sulle conformi conclusioni del
rappresentante in udienza della pubblica accusa, assolveva tutti
gli imputati dalle contravvenzioni ad essi rispettivamente ascritte, "perché il
fatto non sussiste", escludendo "la sussistenza e la
operatività di qualunque vincolo di inedificabilità",
e revocava le statuizioni di confisca e di acquisizione al patrimonio
comunale.
Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi:
- il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di
Appello di Bari,
- l'Avvocatura distrettuale dello Stato per il Ministero dell'ambiente
e per il Ministero dei beni e le attività culturali,
- l'<A. I. per il W.>,
- le Associazioni <L. N.> e <L. R. P.>.
Il ricorso del Procuratore generale censura le argomentazioni
svolte dalla Corte di merito, prospettando che quel giudice:
- con motivazione errata e comunque carente, ha stabilito che
le opere edilizie in oggetto sorgono, secondo le previsioni del
piano regolatore generale del Comune di Bari, in zona individuabile
come C) secondo i criteri previsti dal D.M. 2.4.1968, n. 1444.
Tale zona, sita nella periferia urbana ai margini del nuovo porto
turistico - riservata dal P.R.G. ad -"attrezzature ed impianti
di interesse generale" destinate al commercio e al trasporto
- andrebbe invece individuata come F);
- erroneamente ha ritenuto l'abrogazione implicita dell'art. 51,
lett. f), della legge regionale 31.5.1980, n. 56, a seguito dell'entrata
in vigore della legge statale 8.8.1985, n. 431 e per contrasto
con essa, in correlazione a quanto disposto dagli artt 9 e 10 della
legge statale 10 febbraio 1953, n. 62;
- erroneamente ha ritenuto che l'art. 146 del D.Lgs. 29.10.1999,
n. 490 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di
beni culturali e ambientali) abbia abrogato le previsioni sostanziali
dell'art. 1 della legge 8.8.1985, n. 431, considerando perciò "superata
la problematica relativa alla decadenza del programma pluriennale
di attuazione ed alla successiva riespansione del vincolo".
La legge di delega 8.10.1997, n. 352 ha specificato che il Testo
Unico delegato avrebbe potuto apportare alla normativa vigente
(ed a quella entrata in vigore nei sei mesi successivi al conferimento
delle delega medesima) "esclusivamente le modificazioni necessarie
per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per
assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti, con
la conseguenza che un'ipotetica modifica normativa sarebbe costituzionalmente
illegittima poiché integrerebbe eccesso di delega;
- erroneamente ha escluso la sussistenza dei due vincoli specificati
nelle imputazioni, alla stregua della legge regionale 11.5.1990,
n. 30 e successive modificazioni (legge regionale 11.2.1991, n.
2);
- ha del tutto omesso di esaminare la questione dell'esistenza
del vincolo correlato alle distanze dal torrente Valenzano, inserito
nell'elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. 12.11.1936;
- ha omesso altresì ogni doverosa considerazione in ordine
alla contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen.;
- ha erroneamente affermato, con riguardo alle varianti apportate
ai piani di lottizzazione attraverso un atto unilaterale e senza
il consenso del Consiglio comunale, che per le stesse non era necessaria
alcuna approvazione consiliare specifica, essendo le stesse "lievi" e
consistite "in modifiche tecniche compatibili con la destinazione
del piano",
- ha incongruamente escluso la configurabilità di lottizzazioni
illegittime ed abusive, omettendo anzitutto di motivare in ordine
alla realizzazione di volumetrie maggiori di quelle consentite
e non tenendo poi conto che i piani di lottizzazione approvati
si pongono in contrasto con previsioni di zonizzazione e-o di localizzazione
dello strumento urbanistico generale,
- ha erroneamente escluso dall'ipotesi di lottizzazione abusiva
l'adozione di un procedimento inficiato da violazioni di legge.
L'Avvocatura dello Stato svolge e specifica le medesime doglianze,
sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione,
ed eccepisce altresì che la Corte di merito:
- si sarebbe pronunciata anche in ordine ad alcune statuizioni
della sentenza di primo grado coperte dal giudicato poiché non
ricomprese nei motivi di impugnazione spiegati dagli imputati,
riguardanti esclusivamente le violazioni del vincolo paesaggistico.
Il riferimento specifico, in proposito, è ai capi di imputazione
C), D), F), J) ed L):
- per la ritenuta illegittimità delle concessioni edilizie,
perché rilasciate con un rapporto tra volumetria edificabile
e area disponibile di 5 mc.-mq., invece di quello previsto per
le c.d. zone bianche, a seguito della mancata tempestiva approvazione
dello strumento urbanistico di attuazione prescritto dallo strumento
urbanistico generale;
- per l'esecuzione di opere edilizie in totale difformità e
comunque in variazione essenziale rispetto alle prescrizioni della
concessione edilizia n. 67 del 19.1.1995;
- avrebbe omesso, invece, di pronunciarsi sui motivi di appello
riferiti alla ritenuta insussistenza dell'elemento soggettivo dei
reati.
Analoghe argomentazioni sono illustrate nel ricorso proposto nell'interesse
delle <A. L. N.> e <L. R. P.>, con specifico riferimento:
- alla illegittimità delle varianti apportate ai due piani
di lottizzazione attraverso atti unilaterali e senza la necessaria
approvazione del Consiglio comunale.
- alla inconfigurabilità della asserita abrogazione delle
disposizioni sostanziali dell'art. 1 della legge n. 431-1985 per
effetto della attuale formulazione dell'art. 146 del T.U. n. 490-1999;
- alla incontestabile mancanza, in ogni caso, del nulla - osta
paesaggistico prodromico alla approvazione dei piani di lottizzazione.
- alla erronea classificazione quale zona C) del complessivo ambito
territoriale lottizzato;
- all'estensione "oltre il devoluto" delle statuizioni
della sentenza di secondo grado, in quanto le impugnazioni degli
imputati erano limitate alla pretesa insussistenza dei vincoli
paesaggistici.
Il ricorso proposto nell'interesse dell'<A. I. per il W.>,
infine, si incentra essenzialmente:
- sulla prospettazione dell'incostituzionalità dell'art.
146 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (Testo Unico delle disposizioni
legislative in materia di beni culturali e ambientali) - per eccesso
di delega - qualora esso venga interpretato nel senso dell'effettuata
abrogazione sostanziale dell'art. 1 della legge 8.8.1985, n. 43
l;
- sulla prospettazione dell'incostituzionalità dell'art.
2 della legge della Regione Puglia n. 3011990, come modificato
dalle legge regionali nn. 2-1991 e 1411993, nelle parti contrastanti
con le disposizioni della legge n. 43,1-1985, che pone "principi
fondamentali della legislazione statale";
- sulla configurabilità di lottizzazioni abusive, per l'illegittimità delle
procedure di variante ai due piani lottizzatori in esame.
Il legale rappresentante dell'<A."I. Nostra"> ha
depositato memoria, in data 19.1.2001, con la quale contesta l'affermata
insussistenza dei vincoli di inedificabilità e denunzia,
in subordine, l'illegittimità costituzionale dell'art. 146
del D.Lgs. n. 490-1999 per eccesso di delega.
La difesa degli imputati ha prodotto memoria, in data 23.1.2000,
con la quale evidenzia che questa Corte Suprema si è già interessata
della vicenda in sede cautelare incidentale e, con le decisioni
adottate in quella sede (sentenze del 17.11.1997), ha ritenuto
che "l'area interessata dall'intervento edificatorio oggetto
di lottizzazione non fosse sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluto
o relativo".
L'impugnata sentenza della Corte di Appello di Bari avrebbe puntualmente
recepito i principi di diritto già enunciati in sede di
legittimità e detti principi sarebbero stati considerati
esatti ed insuperabili anche dal rappresentante della pubblica
accusa in udienza, che aveva egli stesso richiesto la pronuncia
di assoluzione per insussistenza dei fatti (successivamente impugnata
dal suo Ufficio).
La difesa ha insistito, pertanto, nella prospettazione della tesi
secondo cui "anche le sentenze emesse dalla Corte di Cassazione
in sede incidentale subiscono la stessa disciplina di quelle indicate
dal n. 3 dell'art. 627 c.p.p.".
Diritto
1. L'ambito territoriale in cui sono stati realizzati gli interventi
edilizi e la "zonizzazione" del piano regolatore generale.
La Corte di merito ha affrontato preliminarmente la questione
dell'individuazione delle prescrizioni di zona imposte dal piano
regolatore generale del Comune di Bari all'ambito territoriale
in cui sono stati realizzati gli interventi edilizi in oggetto
ed in proposito ha rilevato quanto segue:
- l'interpretazione degli artt. 1 e 2 del D.M. n. 1444-1968 consente
di escludere che vi possa essere, da parte degli strumenti urbanistici
elencati nell'art. 1, la previsione di una divisione del territorio
ulteriore e differente rispetto ai tipi di zone omogenee individuate
dall'art. 2;
- la maglia territoriale interessata dalle lottizzazioni in esame
viene tipizzata nel P.R.G. come destinata ad "attività terziarie",
per le quali, ai sensi dell'art. 39 delle norme di attuazione dello
stesso strumento urbanistico generale, sono consentiti "insediamenti
destinati al commercio all'ingrosso e ai trasporti extraurbani
su strada e alle attività ausiliarie ai trasporti limitatamente
agli ambienti di rappresentanza ed agli uffici, nonché al
commercio al minuto, agli alberghi e ai pubblici servizi, alle
attività ausiliarie al commercio, alle attività di
comunicazione, credito, assicurazioni, gestioni finanziarie, servizi
per l'igiene e la pulizia, servizi dello spettacolo, produzione
e distribuzione del gas ed acqua (limitatamente agli uffici), pubblica
amministrazione e studi professionali ed attività similari,
frammista alla residenza nella misura massima del 50% del volume
ammesso, misura percentuale calcolata come media dell'intero comparto".
Si tratterebbe, pertanto, di una "zona mista", inquadrabile
tuttavia - considerata la percentuale di edificazione e la destinazione
d'uso consentita (terziario e residenziale) - nella zona C) di
cui all'art. 2 del D.M. n. 1444-1968, che "può avere
tutte le destinazioni d'uso possibili con esclusione di quelle
industriali".
La questione è stata affrontata in relazione alle previsioni:
- dell'art. 51, lett. f), della legge della Regione Puglia 31.5.1980,
n. 56, che - con norma di salvaguardia urbanistica - inibisce,
fino all'entrata in vigore dei piani territoriali, "qualsiasi
opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine
del demanio marittimo o dal ciglio più elevato sul mare",
consentendo però la edificazione in deroga a tale divieto, "per
gli strumenti urbanistici vigenti o adottati alla data di entrata
in vigore" della stessa legge, "solo nelle zone omogenee
A), B) e C) dei centri abitati e negli insediamenti turistici";
- dell'art. 2, 2 comma, della legge regionale 11.5.1990, n. 30
e delle successive modificazioni apportate a tale norma dalle leggi
regionali n. 2-1991 e n. 14-1993;
nonché alla valutazione dei rapporti delle anzidette disposizioni
legislative regionali con la previsione dell'art. 1, 2 comma, del
D.L. 27.6.1985, n. 312 (c.d. Galasso), convertito con modificazioni
nella legge 8.8.1985, n. 431, secondo la quale "Il vincolo
paesaggistico! di cui al precedente comma non si applica alle zone
A), B) e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali
di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti
urbanistici ai sensi del D.M. 2.4.1968, n. 1444 e, nei Comuni sprovvisti
di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell'art.
18 della legge 22.10.1971, n. 865".
Appare opportuno, in proposito, porre in rilievo - ai fini di
un inquadramento generale del tema che l'interpretazione dell'art.
7, 2 comma, della legge n. 1150-1942 (contenuto del piano regolatore
generale) e, soprattutto, del D.M. n. 1444-1968, si ricollega a
due concezioni contrapposte della pianificazione urbanistica che
comportano essenziali divergenze nelle implicazioni economiche è sociologiche.
In antitesi all'ottica di rigida zonizzazione (propria degli anni
'60 e di scuola americana, non prescritta in modo esplicito da
alcuna disposizione normativa ma largamente seguita nella prassi
applicativa tradizionale), che attribuisce a ciascuna porzione
del territorio comunale un'unica funzione specializzata, si pone
la differente prospettiva (di stampo europeo e sperimentata a partire
dalla metà, degli anni '80 in città modello come
Berlino e Barcellona) che, in luogo della codificazione in "zoning" del
territorio, persegue l'intento di consentire un uso flessibile
del suolo, attraverso la compresenza di una molteplicità di
usi promiscui nell'ambito di una stessa zona (complessità delle
funzioni).
Nel senso dell'integrazione funzionale, con superamento della
zonizzazione rigida, vanno - nella legislazione più recente
- gli istituti dei c.d. programmi urbani complessi (di cui alle
leggi 17.2.1992, n. 179; 4.12.1993, n. 493 ed a vari decreti ministeriali)
Questa nuova tipologia di programmi - caratterizzata dalla "pluralità di
funzioni" all'interno di un medesimo ambito urbano - fa del
concetto di integrazione tra opere diverse (residenziali, non residenziali,
destinate ad insediamenti terziari o a servizi, rivolte alla trasformazione
di aree in verde pubblico) e tra forme diverse di finanziamento
(pubblico e privato) il proprio fulcro metodologico e funzionale,
sicché ben si può affermare che il suddetto principio
dell'integrazione sia stato pienamente recepito nella materia urbanistica
e che possa, pertanto, essere utilizzato quale criterio tecnico
- giuridico di pianificazione territoriale (vedi T.a.r. Emilia
Romagna, Sez. I 14.1.1999, n. 22).
Al di là di tali considerazioni, deve evidenziarsi, comunque,
che il Comune, in sede di pianificazione generale del proprio territorio,
utilizza due strumenti che hanno fini diversi:
- la divisione in zone del territorio ai sensi dell'art. 7 della
legge n. 1150-1942, destinata a delineare il progetto di sviluppo
della città in senso dinamico;
- la definizione, per zone territoriali omogenee, dei limiti e
dei rapporti tra edificazione a scopo residenziale e produttivo
e spazi pubblici, ai sensi dell'art. 41 quinquies della stessa
legge e del D.M. n. 1444 del 1968, che acquista rilevanza ai soli
fini della dotazione degli standard, "senza peraltro costituire
vincolo alle valutazioni tecnico - discrezionali dell'Amministrazione" (Cons.
Stato, Sez. IV, 25 maggio 1998, n. 869).
L'art. 2 del D.M. n. 1444-1968 prevede, in particolare, tre zone
destinate ad insediamenti residenziali (zona A, B e C), una zona
destinata a "nuovi insediamenti per impianti industriali o
ad essi assimilati" (zona D), una zona destinata ad usi agricoli
(zona E), una zona destinata ad attrezzature ed impianti di interesse
generale (zona F).
I parametri per la individuazione delle zone territoriali non
sono tra loro omogenei: le zone di tipo A), B) e C) sono caratterizzate
ed individuate, infatti, attraverso le qualità fisiche ed
edilizie del territorio, indipendentemente dalle destinazioni d'uso
del suolo in atto o previste dal piano in quella specifica porzione
di terreno; mentre le zone di tipo D), E) ed F) sono caratterizzate
dalle destinazioni d'uso previste dal piano, indipendentemente
dalle caratteristiche fisiche dell'edificazione e del territorio.
La divisione in zone del territorio comunale può non coincidere
con la individuazione delle zone territoriali omogenee previste
dal D.M. n. 1444-1968, sicché ben può verificarsi
(come nel caso in esame) che in una zona territoriale omogenea
sia compresa più di una destinazione di P.R.G. e, nelle
situazioni di incertezza e di ambiguità, la individuazione
delle zone omogenee viene ad essere completamente determinata dalla
successiva operazione di definizione delle quantità minime
di aree per i servizi e di vincolo per l'edificazione, che si intendono
perseguire e porre in atto.
Nella fattispecie in esame la zona interessata dalle lottizzazioni
in esame viene tipizzata nel P.R.G. come destinata ad "attività terziarie" e,
ai sensi dell'art. 39 delle norme tecniche di attuazione dello
stesso piano, ha la funzione specifica di "determinare la
concentrazione di unità locali e di enti.... delle amministrazioni
operanti nel settore terziario a livello urbano e metropolitano".
Essa ha una precisa localizzazione ed un'autonoma disciplina e,
anche quanto al dimensionamento degli standard, è nettamente
distinta dalle zone individuate come C) o come sottocategorie di
C), che nel piano regolatore di Bari non sono previste con riferimento
a destinazioni d'uso diverse da quelle residenziali.
Non può mancare, inoltre, di rilevarsi che la deroga posta
dall'art. 51, lett. f), della legge della Regione Puglia 31.5.1980,
n. 56, consente la edificazione "per gli strumenti urbanistici
vigenti o adottati alla data di entrata in vigore" della stessa
legge e "solo nelle zone omogenee A), B) e C) dei centri abitati
e negli insediamenti turistici".
La legge urbanistica n. 1150-1942 non fornisce la definizione di "centro
abitato", nè impartisce criteri per concreta perimetrazione
di esso.
L'Istituto centrale di statistica definisce il "centro abitato" come "un
aggregato di case continue e vicine con interposte strade, piazze
e simili, o comunque brevi soluzioni di continuità, caratterizzate
dall'esistenza di servizi o esercizi pubblici determinanti un luogo
di raccolta, ove sogliono concorrere gli abitanti dei luoghi vicini
per ragioni di culto, istruzione, affari, approvvigionamenti e
simili".
Il "centro abitato" va identificato, dunque, nella situazione
di fatto ed in proposito la sentenza di primo grado ha accertato
che 'tra l'ultima costruzione dell'abitato e la trasformazione
dell'area in oggetto non vi è continuità fisica",
evidenziando altresì con argomentazione ad adiuvandum! come
dalla planimetria allegata alla deliberazione n. 534 del 21.4.1977
della Giunta municipale di Bari risulti che la maglia terziaria
del lungomare Perotti, di cui ci occupiamo, ricadeva a quell'epoca
fuori del "centro edificato" delimitato ai sensi della
legge n. 865 del 1971, mentre soltanto con deliberazione del Consiglio
comunale n. 220 del 23.11.1994 (successiva all'approvazione delle
lottizzazioni in oggetto e riferita alla diversa materia della
definizione dei canoni di pagamento delle tasse connesse all'impiantistica
pubblicitaria) la stessa zona è stata considerata ricadente
all'interno del perimetro del centro abitato ai sensi del D.Lgs.
n. 205-1992.
Gli stessi progettisti delle lottizzazioni in oggetto, infine,
nella individuazione e nel dimensionamento degli standard, non
hanno applicato le previsioni riduttive (e più favorevoli)
delle norme di attuazione del P.R.G.
he consentivano e consentono l'applicazione di valori dimezzati
qualora la zona da trasformare sia da considerarsi come "completamento
dell'abitato esistente".
Nella fattispecie in esame, dunque, deve considerarsi arbitraria
la qualificazione del territorio lottizzato quale zona C), alla
stregua delle previsioni del piano regolatore.
Evidente è l'efficacia tranciante di tale conclusione rispetto
ad ogni ulteriore esame. Anche qualora, però, una classificazione
siffatta potesse ritenersi corretta, dovrà egualmente affermarsi
la sussistenza di quei vincoli paesaggistici, esclusi dalla Corte
territoriale sulla base di argomentazioni che, come verrà di
seguito dimostrato, non possono essere condivise.
2. L'affermata abrogazione implicita dell'art. 51, lett. f), della
legge regionale 31.5.1980, n. 56, per il ritenuto contrasto con
le disposizioni della legge statale 8.8.1985, n. 431, in correlazione
a quanto disposto dagli artt. 9 e 10 della legge statale 10 febbraio
1953, n. 62.
La legge della Regione Puglia 31.5.1980, n. 56 disciplina la "Tutela
ed uso del territorio". Essa, tra l'altro:
- regolamenta gli "strumenti della pianificazione territoriale",
che individua, a livello di area vasta, nel piano urbanistico territoriale
regionale (P.U.T.) e sue articolazioni (P.U.T.T. e P.U.I.);
- specifica i contenuti e gli elaborati del piano di lottizzazione
e, nel regolamentarne la procedura di formazione e di approvazione,
prescrive la necessità del preventivo parere obbligatorio
e vincolante del Comitato urbanistico regionale in ipotesi di lottizzazione
in zone gravate da vincoli paesaggistici (artt. 21 e 27);
- fissa - al Titolo IV - gli standards urbanistici, specificando
all'art. 51 (costituente esso solo tale titolo) che, sino all'entrata
in vigore dei piani territoriali, nella formazione dei nuovi piani
regolatori generali va favorita la previsione di zone miste di
insediamenti artigianali, commerciali, direzionali e residenziali
(lett. c, n. 5).
Lo stesso art. 51, dispone poi:
- alla lettera f), che - sempre sino all'entrata in vigore dei
piani territoriali - "è vietata qualsiasi opera di
edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio
marittimo o dal ciglio più elevato sul mare.
Per gli strumenti urbanistici vigenti o adottati alla data di entrata
in vigore della presente legge, è consentita la edificazione
solo nelle zone omogenee A), B) e C) dei centri abitati e negli
insediamenti turistici...";
- alla lettera h , che - sempre sino all'entrata in vigore dei
piani territoriali - "è vietata qualsiasi opera di
edificazione all'interno della fascia di 200 metri dalla battigia
delle coste dei laghi, dei fiumi, delle gravine.
Per gli strumenti urbanistici vigenti o adottati alla data di entrata
in vigore della presente legge, valgono le disposizioni di cui
al precedente punto f), secondo capoverso".
A questa normativa regionale la Corte di merito compara quella
(successivamente) introdotta della legge statale (c.d. Galasso)
n. 431-1985 e rileva che il regime derogatorio posto dall'art.
1, 20 comma, della legge Galasso - secondo la quale "Il vincolo
paesaggistico! di cui al precedente comma non si applica alle zone
A), B) e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali
di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti
urbanistici ai sensi del D.M. 2.4.1968, n. 1444 e, nei Comuni sprovvisti
di tali strumenti ai centri edificati perimetrati ai sensi dell'art.
18 della legge 22.10.1971, n. 865" - si fonda sul presupposto
dell'esistenza di un duplice requisito:
- la vigenza di uno strumento urbanistico (P.R.G.),
- l'essere la zona, o parte di essa, ricompresa in un programma
pluriennale di attuazione (P.P.A.).
Detto regime viene considerato da quei giudici "più restrittivo
e perciò inconciliabile con quello previsto dall'art. 51,
lett. f), della legge regionale 3 1.5.1980, n. 56, che subordina
la deroga, per i centri abitati, alla sola vigenza o adozione di
uno strumento urbanistico", sicché essi - richiamando
il disposto degli artt. 9 e 10 della legge 10.2.1953, n. 62 - ne
traggono la conseguenza della intervenuta "abrogazione implicita
della medesima legge regionale nella parte in cui si trovi in contrasto
con quella nazionale, in particolare nella parte in cui disciplina
il regime della deroga alla inedificabilità nella fascia
dei 300 metri dal limite della battigia".
A tali argomentazioni deve replicarsi che:
a) Gli articoli 9 e 10 della legge 10.2.1953, n. 62 riguardano
le materie attribuite alla competenza regionale ex art. 117 della
Costituzione (art. 9, comma 1) e stabiliscono l'abrogazione delle
norme regionali in contrasto con "i principi fondamentali" delle
leggi della Repubblica (art. 10, comma 1).
L'effetto abrogante si verifica solo nei casi di diretta ed accertata
incompatibilità tra le due norme (Corte Costituzionale,
8.5.1995, n. 153), mentre nella specie una incompatibilità siffatta
non sussiste, poiché non vi è una assoluta contraddittorietà tra
le disposizioni in esame, tale da renderne impossibile l'applicazione
contemporanea.
Le disposizioni della legge n. 56-1980 della Regione Puglia - in
particolare - non possono ritenersi in contrasto e perciò incompatibili
con "i principi fondamentali" posti dalla legge statale
n. 431-1985, in quanto la legge regionale riguarda la materia "urbanistica",
attribuita alla competenza delle Regioni dall'art. 117 della Costituzione,
mentre la legge statale è riferita alla "tutela del
paesaggio", materia da ricondursi all'art. 9, 2 comma, della
Costituzione e soltanto delegata alle Regioni (vedi T.A.R. Puglia:
Sez. Lecce, 6.2.1990, n. 130 e le recenti decisioni della Sez.
II nn. 940-2000 e 1044-2000, entrambe depositate il 17.3.2000).
L'art. 51 della legge regionale n. 56-1980, nello specifico -
secondo la sua testuale formulazione - pone standards urbanistici,
quali limitazioni delle previsioni insediative dei piani comunali
fino all'entrata in vigore dei piani territoriali.
Appare opportuno ricordare, in proposito, che la Corte Costituzionale,
già con la sentenza n. 239 del 29.12.1982 (aggiornando,
alla luce dei mutamenti intervenuti nell'ordinamento positivo,
le argomentazioni ancor prima svolte nella decisione n. 141 del
24.7.1972), ebbe ad escludere dall'urbanistica la tutela del paesaggio,
e ciò appunto ai sensi del comma 2 dell'art. 9 della Costituzione, "secondo
cui la tutela del paesaggio è compito della Repubblica e
quindi in prima linea dello Stato, disposizione correttamente intesa
ed applicata dal... D.P.R- n. 616 del 1977, il quale all'art. 82
ha delegato (in base all'art. 118, comma 2, della Costituzione)
e non trasferito alle Regioni (come ha fatto per le materie previste
dall'art. 117 della Costituzione stessa) le funzioni amministrative
in materia. Nè in senso contrario" - continua la Corte
- "potrebbe invocarsi il disposto del ricordato art. 80 del
D.P.R. n. 616 del 1977, il quale completa la definizione dell'urbanistica,
aggiungendo la previsione della protezione dell'ambiente, poiché nel
citato art. 80 la formula legislativa è usata in senso restrittivo
e riferita soltanto al profilo urbanistico, come risulta evidente
dalla collocazione della disposizione, la quale è posta
a completamento della nozione di urbanistica... ciò posto
osserva la Corte che intuitivamente la medesima zona di territorio
può formare oggetto di provvedimenti normativi relativi
al paesaggio ovvero concernenti l'urbanistica".
I provvedimenti di tutela del paesaggio - secondo il Giudice delle
leggi - si caratterizzano per il fatto che concernono precipuamente "la
protezione di un valore estetico - culturale" relativo "alle
bellezze paesistiche" (decisione n. 239-1982) ovvero "alla
forma del territorio" (decisione n. 359 del 21.12.1985).
L'urbanistica e la tutela del paesaggio continuano a mantenere
ciascuna una propria specificità nella sentenza della Corte
Costituzionale 9.12.1991, n. 437, secondo la quale "L'art.
80 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616 non comporta l'inclusione della
materia della tutela del paesaggio in quella dell'urbanistica,
assegnata alla competenza esclusiva delle Regioni".
La pianificazione urbanistica e quella paesaggistica - ribadisce
ancora il Giudice delle leggi con la sentenza n. 379 del 7.11.1994,
n. 379 - perseguono fini distinti, anche se i mutamenti intervenuti
nelle rispettive pianificazioni hanno condotto il paesaggio e l'urbanistica
ad "una sorta di mutualità integrativa, per effetto
della quale la tutela dei valori paesaggistico - ambientali si
realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica" alla
stregua della disposizione di cui all'art. 1 bis della legge n.
431-1985.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, "il concetto
giuridico dell'urbanistica si è nel tempo progressivamente
ampliato fino a corrispondere, giusta quanto stabilito dall'art.
80 del D.P.R. n. 616-1977, alla disciplina dell'uso del territorio,
comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali
riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del
suolo, nonché di protezione dell'ambiente" (C. Stato,
Sez. V, 9.12.1997, n. 1478) ed ancora recentemente la Corte Costituzionale
ha definito l'urbanistica come l"a disciplina del territorio
comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali
riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del
suolo, nonché di protezione dell'ambiente" (Corte Cost.,
7.10.1999, n. 382).
La nozione di ambiente, però, è necessario ribadirlo, è riferita
al territorio naturale quale habitat dell'uomo, e la relativa normativa è rivolta
alla tutela della salute dell'uomo e dei valori ecologici e culturali
di conservazione della natura; laddove la normativa di tutela del
paesaggio si prefigge espressamente il fine di salvaguardare i
valori estetico - culturali del territorio.
Si vedano, infine, le argomentazioni svolte da Cass., Sez. III:
21.1.1997, Volpe ed altri; 13.11.1995, Vacca;
1.2.1995, Ceresa; 7.6.1994, Ruotolo).
b) Nessuna incompatibilità sussiste tra le due diverse
normative (statale e regionale), non potendo porsi in dubbio -
come rilevato dalla Corte Costituzionale - che una zona di territorio,
interessata o meno da vincolo paesaggistico di inedificabilità assoluto
o relativo, possa essere comunque autonomamente sottoposta a vincolo
di inedificabilità assoluta quale standard o misura di salvaguardia
correlata alla pianificazione urbanistica del territorio.
c) Questa Corte, nella fase cautelare, con le sentenze nn. 3382-85
del 17.11.1997, ha ravvisato una incompatibilità di disciplina
quanto alla "edificazione delle zone costiere"; non ha
considerato, però, che tali zone territoriali (le coste)
ben possono formare oggetto di distinti provvedimenti normativi
relativi al paesaggio ovvero concernenti l'urbanistica.
In conclusione deve rilevarsi che, dalla data della presentazione
a quella dell'adozione (20.3.1990) dei piani di lottizzazione in
oggetto (approvati l'11. 5.1992) la legge regionale 11. 5.1990,
n. 30 (la prima che nella Regione Puglia ha dato attuazione alla
legge statale n. 431-1985) non era ancora in vigore, sicché,
nei procedimenti di formazione dei due piani di lottizzazione in
esame, dovevano trovare integrale applicazione - quanto ai profili
di assetto urbanistico del territorio - gli standards imposti con
la legge regionale n. 56-1980 e - quanto ai profili di tutela paesaggistico
- ambientale - le disposizioni introdotte dalla legge statale n.
431-1995.
3. L'affermata abrogazione dell'art. 1 della legge 8.8.1985, n.
431 ad opera dell'art. 146 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (Testo
Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali
e ambientali).
Afferma la Corte di merito barese che, per il disposto degli artt.
146 e 166 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (Testo Unico della legislazione
in materia di beni culturali ed ambientali), il regime giuridico
dei vincoli paesistici generali risulterebbe sostanzialmente modificato
con previsione più favorevole agli imputati ex art. 2 del
codice penale.
Il secondo comma dell'art. 146 prevede che:
"le disposizioni previste dal comma 1 non si applicano alle
aree che, alla data del 6 settembre 1995:
a) erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A) e
B);
b) limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di
attuazione, erano delimitate negli strumenti urbanistici a norma
del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 come zone diverse
da quelle indicate alla lettera a) e, nei Comuni sprovvisti di
tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati a norma
dell'art. 18 della legge 22.10.1971, n. 865".
Detta norma, secondo l'interpretazione che ne dà la Corte
territoriale:
a) consentirebbe di ritenere legittime le lottizzazioni e gli
interventi per cui è causa, poiché renderebbe applicabile
alla fattispecie in esame l'esonero dal vincolo paesaggistico in
quanto le opere sono state realizzate in zona compresa in un programma
pluriennale di attuazione del Comune di Bari vigente alla data
del 6.9.1985 (entrato in vigore il 29.12.1980 e decaduto il 29.12.1985);
b) sarebbe innovativa rispetto al testo originario della legge
n. 431-1985, in quanto escluderebbe "qualunque conseguenza
derivante dalla cessazione degli effetti del P.P.A. e dalla riespansione
del vincolo".
Trattasi di interpretazione assolutamente erronea ed in contrasto
con i principi già affermati da questa Sezione con la sentenza
29.5.2000, n. 1551, Cice, secondo i quali:
- l'esclusione del vincolo paesaggistico di cui all'art. 1 della
legge n. 431-1985 è limitato sul piano temporale e non va
esteso oltre le previsioni letterali di legge, sicché le
zone di espansione edilizia di cui agli strumenti urbanistici comunali,
ancorché parzialmente edificate sono soggette a controllo
paesaggistico, per le ulteriori modificazioni, qualora non siano
state incluse in un programma pluriennale di attuazione vigente
al momento dell'entrata in vigore della legge Galasso;
- su tale principio non ha innovato il D.Lgs. n. 490-1999, che
ha soltanto proceduto alla sistemazione organica della materia
dei beni culturali ed ambientali riproducendo, quanto ai casi di
esclusione delle aree dal vincolo paesaggistico, la precedente
normativa che va letta secondo il diritto vivente.
Il riferimento al c.d. "diritto vivente" inerisce alla
lettura delle disposizioni derogatorie del vincolo costantemente
fornita dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo la
quale i vincoli paesaggistici di carattere generale non si applicano
nelle zone urbanizzate, quindi già compromesse, ed in quelle
oggetto di una pianificazione (piano regolatore generale e programma
pluriennale di attuazione), vigente all'epoca dell'entrata in vigore
della norma, che ha ritenuto maturo il tempo di esecuzione di interventi
sul territorio.
Una volta scaduto, però, il limite temporale di validità del
programma pluriennale (completati o meno che siano i processi di
urbanizzazione in esso previsti), il vincolo si riespande in quanto
l'operatività della deroga posta dall'art. 1, secondo comma,
della legge n. 431-1985 presuppone l'attualità dei piani
(in tal senso vedi Cass., Sez. III: 21.1.1997, Volpe; 9.6.1997,
Varvara; 24.3.1998, Lucifero).
La funzione propria e specifica del programma pluriennale di attuazione
(anteriormente alle sostanziali modifiche apportate all'istituto
dalla legge 30.4.1999, n. 136) si identifica nella programmazione
temporale dello sviluppo edilizio, con effetti vincolanti che in
certo senso trasformano lo ius aedificandi in un obbligo di realizzare,
entro il termine di efficacia del programma medesimo, la destinazione
edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico generale, cui
si correla la previsione di facoltà espropriativa del Comune.
Una volta che sia scaduto, però, un programma pluriennale
vigente alla data di entrata in vigore della legge n. 431-1985,
non si configura più una "edificazione doverosa" nel
senso dianzi illustrato e ciò implica che la mancata attuazione
del programma medesimo entro il termine della sua efficacia comporta
il venire meno del titolo di esenzione dal vincolo.
Nè tale effetto caducatorio può essere impedito
dalla proroga o dalla rinnovazione del programma pluriennale inattuato,
così come nessun effetto di esonero può riconoscersi
ai programmi pluriennali adottati successivamente all'entrata in
vigore della legge n. 431-1985.
In questo senso è orientata altresì la giurisprudenza
amministrativa, secondo la quale l'esonero dal vincolo paesaggistico
previsto dal 5 comma dell'art. 82 del D.P.R. n. 616-1977, aggiunto
dall'art. 1 della legge n. 431-1985 "è riferibile solo
ai P.P.A. ancora efficaci... laddove, invece, tali strumenti abbiano
perduto la propria efficacia operativa, deve ritenersi che la deroga
medesima non possa più operare e le aree paesaggisticamente
vincolate tornino a soggiacere all'ordinario regime di vincolo
ed alla connessa esigenza della previa acquisizione, ai fini del
rilascio del titolo concessorio, del prescritto nulla osta paesaggistico" (così,
tra le pronunzie più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 18.8.1998,
n. 1268 e T.a.r. Puglia, Sez. II, 5.9.1998, n. 750).
L'art. 146 del D.Lgs. n. 490-1999 non ha mutato tale principio,
poiché non ha modificato e non poteva modificare la normativa
precedente.
Dal punto di vista testuale, sia la vecchia che la nuova normativa
utilizzano le stesse espressioni: le novità si individuano
nella indicazione temporale del "6 settembre 1985" e
nella sostituzione dell'espressione "come erano delimitate" alla
precedente "come delimitate".
La specifica indicazione temporale nulla muta, in quanto riproduce
la data di entrata in vigore della legge n. 431-1985, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 197 del 22 agosto 1985. Ciò che
conta, invece, è l'esatta riproduzione del riferimento alle "parti
ricomprese nei piani pluriennali di attuazione", da cui deve
dedursi che il legislatore - per ovvi motivi di adeguamento dell'originaria
definizione al tempo trascorso dalla sua entrata in vigore - è stato
costretto a definire esplicitamente l'inizio della deroga, mentre
nulla ha mutato in ordine alla cessazione di essa.
Se il secondo comma dell'art. 146 avesse introdotto le innovazioni
individuate dalla Corte di merito (tra l'altro di così rilevante
portata), esso sarebbe costituzionalmente illegittimo, per straripamento
dai limiti della delega legislativa, in relazione agli articoli
76 e 77, 1 comma, della Costituzione.
Secondo i criteri direttivi imposti al Governo dalla legge - delega
8.10.1997, n. 352, infatti:
a) potevano essere inserite nel testo unico le disposizioni legislative
vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge, nonché quelle
che fossero entrate in vigore nei sei mesi successivi;
b) alle disposizioni dovevano essere apportate esclusivamente
le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e
sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione
dei procedimenti.
La disposizione delegante richiede, pertanto, la redazione di un
testo unico c.d. ricognitivo o di mera compilazione, destinato
a raccogliere in un unico corpo leggi riguardanti la stessa materia
ed emanate in tempi diversi, allo scopo di curarne il coordinamento
secondo un criterio unitario. La discrezionalità del Governo,
in questo caso, è molto ridotta, non essendo possibile introdurre
modifiche sostanziali o innovative delle disposizioni di legge
(non è consentito, cioè, creare ius novum).
La formulazione dell'art. 146, come si è detto, non lascia
adito a dubbi, ma non può altresì trascurarsi di
ricordare il principio secondo il quale "il giudice, nell'operare
la ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicare
al caso portato al suo esame, deve essere costantemente guidato
dall'esigenza di rispettare i precetti costituzionali e, quindi,
ove un'interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, è tenuto
ad adottare quella diversa possibile lettura che risulti aderente
ai principi costituzionali altrimenti vulnerati" (così Corte
Cost., 18.3.1999, n. 69, ma nello stesso senso vedi pure le sentenze
nn. 452 e 197 del 1998 e le ordinanze nn. 147 e 55 del 1998).
Il giudice, in sostanza, in tanto può sollevare una questione
di costituzionalità in quanto tra più possibili letture
alternative di una norma, sia impossibile fornire una lettura adeguatrice,
essendogli imposto di accogliere quella conforme alla Costituzione
(vedi, con specifico riferimento al D.Lgs. n. 490-1999, Cass.,
Sez. III, 23.11.2000, ric. Chiatellino).
Deve dichiararsi, conseguentemente, manifestamente infondata la
proposta questione di illegittimità costituzionale dell'art.
146 del D.Lgs. n. 490-1999.
4. L'affermata esclusione della sussistenza dei due vincoli paesaggistici
specificati nelle imputazioni, alla stregua delle previsioni della
legge regionale 11.5.1990, n. 30 come modificata dalla legge regionale
11.2.1991, n. 2.
La Corte territoriale ravvisa la legittimità dei procedimenti
di formazione dei due piani di lottizzazione in esame alla stregua
delle previsioni dell'art. 1 dalla legge regionale 11.5.1990, n.
30 (Norme transitorie di tutela delle aree di particolare interesse
ambientale paesaggistico), come modificato dalla legge regionale
11.2.1991, n. 2.
Trattasi di conclusioni errate, in quanto a tal proposito deve
rilevarsi che la legge regionale n. 30-1990:
- all'art. 1 dispone che "Fino all'approvazione, ai sensi
della legge regionale 31.5.1980, n. 56 del P.U.T.T. (piano urbanistico
territoriale tematico) del paesaggio e dei beni ambientali, quale
piano paesistico territoriale, con specifica considerazione dei
valori paesaggistici ed ambientali, previsto dall'art. 1 bis della
legge 8.8.1985, n. 431, e dei relativi piani paesistici delle diverse
aree sub regionali individuale dal P.U.T.T.e, comunque, non oltre
la data del 31 dicembre 1990 prorogata fino al 31.12.1998 con le
leggi regionali nn. 2-1991, 7-1992, 10-1994, 16-1995, 33-1995,
9-1996, 2-97, 2-1998!, è vietata ogni modificazione dell'assetto
del territorio nonché qualsiasi opera edilizia nelle seguenti
aree:
a) territori costieri compresi in una fascia della profondità di
300 metri dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato
sul mare;
............
c) territori compresi nella fascia di 200 metri dal piede degli
argini dei fiumi, torrenti e corsi d'acqua classificati pubblici
ai sensi del t.u. sulle acque ed impianti elettrici approvato
con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 e successive integrazioni,
nonché dal ciglio più elevato delle gravine o lame"
- all'art. 2 (come modificato dalla legge regionale 11.2.1991,
n. 2 ed anteriormente alle ulteriori modificazioni apportate dalla
legge regionale 9.8.1993, n. 14), quale eccezione all'anzidetto
divieto di cui all'art. 1, prevedeva che "L'attività edilizia
e relative opere di urbanizzazione nei territori costieri di cui
al precedente punto 1 è consentita nelle zone A) e B) previste
dagli strumenti urbanistici. Nelle zone C), nelle aree destinate
ad insediamenti turistici, artigianali ed industriali sono consentiti
gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani
particolareggiati o piani di lottizzazione) adottati alla data
del 6 giugno 1990 a condizione che le aree interessate risultino
incluse nei programmi pluriennali di attuazione (P.P.A.) approvati
alla stessa data " (comma 2);
"la realizzazione di tutte le opere è comunque subordinata
al rilascio del nulla - osta previsto dall'art. 7 della legge 29
giugno 1939, n. 1497, ove le relative aree sono soggette al vincolo
paesaggistico di cui alla stessa legge" (comma 6);
- l'art. 2, 2 comma, della legge regionale n. 30-1990, nella sua
formulazione originaria, consentiva nelle zone C) gli interventi
previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati
e piani di lottizzazione) che risultassero "approvati" alla
data del 6 giugno 1990;
- la legge regionale 11.2.1991, n. 2 è intervenuta sulla
previsione anzidetta, ammettendo nelle stesse zone C) gli interventi
edilizi previsti in strumenti urbanistici esecutivi "adottati" alla
data del 6 giugno 1990, a condizione che le aree interessate risultassero
incluse nei programmi pluriennali di attuazione (P.P.A.) approvati
alla stessa data (si ricordi che i piani di lottizzazione in oggetto
risultano adottati il 20.3.1990 ed approvati l'11.5.1992);
- una modifica ulteriore è stata apportata dalla legge
regionale 9.8.1993, n. 14, la quale ha ammesso nelle stesse zone
C) gli interventi edilizi previsti in strumenti urbanistici esecutivi "formalmente
e regolarmente presentati" alla data del 6 giugno 1990, a
condizione che le aree interessate risultassero incluse nei programmi
pluriennali di attuazione (P.P.A.) approvati alla stessa data e
con obbligo di sottoposizione a "preventivo parere del C.
U. R (Comitato urbanistico regionale), per l'accertamento non contrasto
con le esigenze di tutela delle aree di particolare interesse ambientale
paesaggistico";
- le aree interessate dai piani di lottizzazione nn. 141-1989
e 151-1989 risultano essere state incluse in un primo programma
pluriennale di attuazione (P.P.A.) che ha avuto vigore dal 29.12.1980
al 29.12.1985 ed in un secondo programma pluriennale che ha avuto
vigore dal 9.9.1986 al 9.9.1991. Ne consegue che:
- le aree medesime, al momento dell'adozione dei piani di lottizzazione
(20.3.1990), erano incluse nel secondo P.P.A approvato nel settembre
del 1986 e vigente;
- all'epoca dell'entrata in vigore della legge statale n. 431-1985
era vigente, invece, il primo programma pluriennale di attuazione
ma, una volta scaduto il limite temporale di validità di
detto programma pluriennale (29.12.1985), il vincolo si è riespanso
in quanto - come si è detto l'operatività della deroga
posta dall'art. 1, secondo comma, della legge n. 431-1985 presuppone
l'attualità dei piani;
- al momento dell'approvazione dei medesimi piani di lottizzazione
(11.5.1992) le aree in oggetto non risultavano incluse in alcun
P.P.A., poiché anche il secondo di tali strumenti (sia pure
irrilevante per le argomentazioni anzidette) era scaduto il 9.9.1991.
In ogni caso, comunque, la stessa legge regionale n. 30-1990, anche
in seguito alle modifiche ad essa successivamente apportate, introduce
- ex art. 1 ter della legge statale n. 431-1985 - vincoli di immodificabilità assoluti,
esplicitamente funzionalizzati ad impedire modificazioni territoriali
in vista della redazione "del P.U.T.T. (piano urbanistico
territoriale tematico) del paesaggio e dei beni ambientali, quale
piano paesistico territoriale, con specifica considerazione dei
valori paesaggistici ed ambientali, previsto dall'art. 1 bis della
legge 8.8.1985, n. 431, e dei relativi piani paesistici delle diverse
aree sub regionali individuate dal P.U.T.T." e disciplina
le deroghe soltanto a vincoli siffatti ma non al vincolo c.d. relativo,
previsto dalla legge Galasso e dalla stessa legge regionale confermato,
che prescrive il necessario consenso della P.A. per la verifica
della compatibilità paesistico - ambientale (vedi, sul punto,
Cass., Sez. III, 21.1.1997, Volpe ed altri).
Le disposizioni di cui al D.L. n. 312-1985, convertito nella legge
n. 431-1985, "costituiscono norme fondamentali di riforma
economico - sociale della Repubblica" (art. 2 della legge
n. 431), sicché esse impongono un limite espresso al potere
legislativo regionale concorrente nelle materie di cui all'art.
117 della Costituzione (vedi Corte Cost.: nn. 35-1957, 105-1957,
44-1967 e 120-1969).
Le norme della legge Galasso, pertanto, non possono essere modificate
da disposizioni regionali successive, le quali, se contrastassero
con i principi fissati da detta legge statale, sarebbero viziati
da illegittimità costituzionale e, sempre secondo l'insegnamento
del Giudice delle leggi, la possibilità per il legislatore
regionale di modificare le previsioni della legge Galasso deve
ritenersi limitata alle sole prescrizioni ampliative del vincolo
paesaggistico, essendo esclusa la possibilità di intaccare,
con legge o provvedimento regionale, la tutela "minimale" preordinata
dalla legge n. 431-1985 (vedi Corte Cost.: n. 327-1990, in riferimento
al piano paesistico della Regione Emilia Romagna, estendente all'intero
territorio regionale il vincolo paesaggistico introdotto alla legge
n. 431; nonché n. 110-1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'art. 11, lett. a, della legge regionale del Piemonte n. 20
del 3.4.1989, estendente l'ambito delle zone di particolare interesse
ambientale sottratte al vincolo paesaggistico). La legge n. 30-1990
della Regione Puglia (e le successive modificazioni introdotte
con le leggi regionali nn. 2-1991 e 14-1993) impone - come si è detto
- misure di salvaguardia sostanzialmente ampliative della tutela "minimale" preordinata
dalla legge n. 431-1985. Le deroghe si riferiscono a tale ampliamento
del regime di immodificabilità assoluta e non all'imposizione
del vincolo, sicché deve affermarsi l'irrilevanza delle
denunziate questioni di illegittimità costituzionale.
Ma vi è di più.
L'art. 28, 2 comma, della legge 17.8.1942, n. 1150, nel testo
modificato dalla legge n. 765 del 1967, stabilisce espressamente
che le lottizzazioni di terreno a scopo edilizio possono essere
autorizzate dal Comune previo nulla - osta della competente Soprintendenza
(che spetta ora alle Regioni a statuto ordinario in virtù dell'art.
1, comma 3, del D.P.R. n. 8-1972).
Da ciò discende che i piani di lottizzazione - anche qualora
riguardino zone di territorio non soggette a vincolo paesistico
- necessitano, nell'ambito del relativo procedimento di approvazione,
di preventiva valutazione paesaggistica, di competenza delle Regioni
(vedi Cons. Stato: Sez. IV, 16.6.1986, n. 421; Sez. IV, 27.7.1993,
n. 742; Sez. VI, 2.3.2000, n. 1095), quale intervento consultivo
di carattere generale e programmatorio circa la compatibilità ambientale
dello strumento urbanistico attuativo (diverso dallo specifico
atto di amministrazione attiva che riguarda, già ex art.
7 della legge n. 1497 del 1939 ed attualmente ex art. 151 del D.Lgs.
n. 490 del 1999, la compatibilità di un particolare intervento
con il vincolo).
I due atti possono fondersi in un unico provvedimento avente natura
complessa, ma in tal caso è comunque necessario che l'atto
complesso compia entrambe le distinte valutazioni che sono proprie
dell'attività consultiva e di quella autorizzatoria in senso
proprio.
Gli artt. 27 e 21 della legge della Regione Puglia n. 56-1980
ribadiscono sostanzialmente (quanto alla procedura di formazione
e di approvazione del piano di lottizzazione) le prescrizioni della
legge urbanistica statale e prescrivono altresì la necessità del
parere vincolante del Comitato urbanistico regionale.
5. La illegittimità dei piani di lottizzazione
Tutte le considerazioni dianzi svolte conducono a configurare
quali illegittimi i procedimenti di formazione dei due piani di
lottizzazione nn. 141 e 151 del 1989, in quanto:
- i piani medesimi sono stati adottati in violazione delle misure
urbanistiche di salvaguardia (inedificabilità assoluta)
imposte dall'art. 51, lett. f) della legge regionale n. 56-1980;
- non esisteva, al momento della loro adozione; un programma pluriennale
di attuazione già approvato alla data di pubblicazione del
D.L. 27.6.1985, n. 312 (Gazzetta Ufficiale n. 152 del 29 giugno
1985) ed ancora vigente ed efficace;
- i piani medesimi sono stati approvati allorquando non esisteva
alcun programma pluriennale di attuazione vigente ed efficace;
- in relazione ad essi non è stato rilasciato il nulla
- osta paesistico di cui all'art 28 della legge n. 1150-1942 nè il
parere preventivo del Comitato Urbanistico Regionale previsto dagli
artt. 21 e 27 della legge regionale n. 56-1980;
- la lottizzazione n. 151-1989 non rispetta il parametro relativo
alla superficie minima di intervento di mq. 50.000, previsto dall'art.
39 delle Norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale,
poiché inerisce ad una superficie complessiva di circa mq.
41.885.
6. Le varianti ai piani di lottizzazione
La questione delle "varianti" è stata affrontata
e risolta dalla Corte territoriale attraverso l'adesione alle enunciazioni
contenute nelle sentenze emesse da questa Corte Suprema, in sede
cautelare, in data 17.11.1997.
È
stato cosi riaffermato, in linea di principio, che il procedimento
amministrativo di formazione dei piani di lottizzazione "deve
essere ripercorso solo per le modifiche che, per la loro entità e
funzione, possano qualificarsi come rilevanti e diano luogo ad
una pianificazione lottizzatoria sostanzialmente divergente da
quella adottata".
Alla stregua di tale principio la Corte di merito ha poi valutato
che, nella fattispecie in esame, le varianti - sia quelle presentate
tra l'adozione e l'approvazione, sia quella successiva - non potrebbero
qualificarsi "essenziali", perché sarebbero consistite
in modifiche tecniche, compatibili con la destinazione del piano,
che non avrebbero mutato la fisionomia della lottizzazione nè l'impostazione
urbanistica dell'originario progetto e non avrebbero determinato
modifiche sostanziali.
In particolare, gli aumenti di cubatura effettivamente indotti
sono stati considerati "di non significativa incidenza in
rapporto all'entità complessiva della urbanizzazione" e,
come non superato parametro di riferimento è stato utilizzato
uno di quelli definenti - a norma dell'art. 2 della legge regionale
13.5.1985, n. 26 (aumento di cubatura del 2,50 % per gli edifici
eccedenti i 5.000 mc.) - la nozione di "variazione essenziale" quale
nuova tipologia di abuso edilizio introdotta dall'art. 8 della
legge, n. 47-1985.
Legittimo è stato poi ritenuto il ricorso, per l'approvazione
delle varianti in oggetto, alla sottoscrizione di unilaterali "atti
di obbligo", sulla base del solo parere favorevole della Commissione
Urbanistica, trattandosi di procedura conforme alla deliberazione
15.4.1998, n. 2037 del Consiglio comunale di Bari, riguardante
appunto le varianti non incidenti sul dimensionamento globale del
piano di lottizzazione e non comportanti modifiche al perimetro,
agli indici di fabbricabilità ed alle dotazioni di spazi
pubblici e di uso pubblico.
In punto di fatto risulta accertato che:
- con l'atto d'obbligo sottoscritto dalla s.r.l. "<S.
F.>" in data 20.9.1994 (successivo alla stipula della convenzione
avvenuta in data 3.11.1993), i volumi complessivamente edificabili
sono stati incrementati di circa mc. 6.808, di cui mc. 3.652 destinati
a residenza, operando un "recupero" di superficie a standard
già ceduta al Comune e considerata eccedente rispetto a
quanto dovuto;
- con l'atto d'obbligo sottoscritto dalla s.r.l. "<I.
C.>" in data 9.3.1994 (successivo alla stipula della convenzione
avvenuta in data 21.6.1993), i volumi complessivamente edificabili
in un lotto (individuato come C) sono stati incrementati di circa
mc. 508;
- ulteriori varianti contengono sostanziali modifiche plano -
volumetriche, sia pure giustificate con problemi di "tracciamento" e-o
più approfondite "verifiche catastali".
L'incremento di mc. 508 (atto d'obbligo del 9.3.1994 riferito
alla lottizzazione n. 151-1989) è dato dal passaggio dagli
originari mc. 13.072 a mc. 13.580, sicché l'aumento è nettamente
superiore al 2,50 % dell'originaria volumetria, ma - al di là della
palese erroneità del computo - è il riferimento all'art.
8 della legge statale n. 47-1985 ed all'art. 2 della legge regionale
n. 26-1985 a porsi come assolutamente incongruo ed improponibile.
Tali norme, invero, concernono le opere realizzate con variazioni
essenziali rispetto alla concessione edilizia, sicuramente non
assimilabili alle varianti di piano.
La procedura di formazione di queste ultime varianti è disciplinata
dalla legge e nessuna norma (meno che mai gli artt. 21 e 27 della
legge regionale n. 56-1980) consentiva e consente al Consiglio
comunale di Bari di trasferire ad altro organo il potere di approvare
varianti ai piani attuativi: ne consegue che la delibera consiliare
n. 2037 del 1988 è atto emesso in assoluta carenza di potere,
poiché manca una norma attributiva della facoltà di
delega (l'Avvocatura comunale aveva espresso parere contrario all'adozione
della delibera in oggetto, evidenziando appunto l'impossibilità di
modifiche unilaterali a scelte di pianificazione e convenzioni
di lottizzazione già stipulate).
Nè può considerarsi corretto il riferimento analogico
all'art. 34 della legge 22.10.1971, n. 865, che ha aggiunto l'ultimo
comma all'art 8 della legge 10.4.1962, n. 167, poiché comunque
tale norma, riguardante i piani di zona per l'edilizia economica
e popolare (P.E.E.P.), riserva all'approvazione "con deliberazione
del Consiglio comunale" le varianti che non incidono sul dimensionamento
globale del piano e non comportano modifiche al perimetro, agli
indici di fabbricabilità ed alle dotazioni di spazi pubblici
o di uso pubblico".
7. I riflessi dell'accertata esistenza dei vincoli sulle altre
imputazioni.
Dall'accertata esistenza dei vincoli paesaggistici a tutela del
territorio costiero e del torrente Valenzano discendono l'illegittimità e
l'inefficacia delle concessioni edilizie specificate nei capi di
imputazione, poiché le stesse risultano (quanto meno) rilasciate:
- in mancanza di un piano di lottizzazione legittimo;
- in carenza dell'autorizzazione paesaggistica già prescritta
dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939 (ed attualmente dall'art.
151 del D.Lgs. n. 490 del 1999).
Ai sensi dell'art. 25 del R.D. 3.6.1940, n. 1357 (Regolamento
per l'applicazione della legge 29.6.1939, n. 1497, sulla protezione
delle bellezze naturali, le cui disposizioni restano in vigore
fino all'emanazione del Regolamento previsto dal 1 comma dell'art.
161 del D.Lgs. n. 490-1999), nelle zone dei piani territoriali
paesistici e nell'ambito delle bellezze d'insieme alle quali sia
stato imposto il vincolo paesaggistico, l'Amministrazione comunale
non può rilasciare concessioni edilizie "se non previo
favorevole avviso" dell'autorità deputata alla tutela
degli interessi paesistici. Si pone, pertanto, il problema della
individuazione dei rapporti tra il procedimento di rilascio della
concessione edilizia e quello relativo all'autorizzazione paesaggistica
di cui agli artt. 7 della legge n. 1497-1939 ed 1 della legge n.
431-1985, da risolversi - in adesione alla prevalente giurisprudenza
amministrativa - nel senso che, pur trattandosi di procedimenti
autonomi, l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela
del vincolo paesistico si configura quale "condizioni di efficacia" della
concessione edilizia.
In mancanza di siffatta autorizzazione, pertanto, e finché essa
non intervenga, è preclusa la materiale esecuzione dei lavori
assentiti dal Comune dal punto di vista edilizio - urbanistico
(vedi C. Stato, Sez. V, 11.3.1995, n. 376) e la concessione edilizia
eventualmente rilasciata deve considerarsi inefficace ed improduttiva
di effetti.
Sussistono, altresì le contestate contravvenzioni ex art.
734 cod. pen., in relazione alle quali l'esistenza di un effettivo
e grave danno ambientale risulta ampiamente illustrata nella sentenza
di primo grado, che lo ricollega (con riferimento ad una relazione
di consulenza redatta dal professore <B.>) ad impatti negativi
particolarmente rilevanti sull'atmosfera (modifica fisico - chimica),
la fauna, l'ecosistema costiero, il paesaggio.
Vengono pure evidenziati impatti negativi di tipo percettivo -
visivo, storico - culturale e testimoniale, in dimensione locale,
di quartiere ed urbana, per l'alterazione indotta dai cospicui
volumi edilizi sugli assetti storicamente assunti dal paesaggio
costiero della fascia lungomare della città di Bari, nella
transizione tra "natura" (la costa a sud est della città)
e "costruzione" (il lungomare monumentale realizzato
negli anni 1930).
Secondoo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la contravvenzione
prevista dall'art. 734 cod. pen. può coesistere e concorrere
con quella di cui all'art. 1 sexies della legge n. 431-1985. Mentre,
infatti, nella contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen. (che è reato
di danno concreto) il precetto va individuato nel divieto di cagionare
distruzione o deturpamento di bellezze naturali, nella contravvenzione
di cui all'art. 1 sexies (che è reato formale di pericolo
presunto) il precetto è quello di non porre in essere attività in
certe zone senza l'autorizzazione amministrativa, a prescindere
dal risultato dell'attività stessa con riguardo alle bellezze
naturali aggredite, le quali possono risultare anche non danneggiate
dall'attività non autorizzata (vedi Cass., Sez. VI, 9.9.1994,
n. 9749 e Sez. III: 30.1.1991, n. 1032; 3.1.1991, n. 4; 9.2.1990,
n. 3501).
8. Atti amministrativi ed accertamento di illegittimità.
Non si verte, nella specie, in tema di disapplicazione di atti
amministrativi.
Deve farsi opportuno riferimento, in proposito, alla decisione
21.12.1993 delle Sezioni Unite, ric. Borgia, da cui si evince il
principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza
o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne
la conformità a tutti i parametri di legalità fissati
dalla legge, "dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici
e dalla concessione edificatoria.
Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato
sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del
comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve
limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento
amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della
fattispecie penale "in vista dell'interesse sostanziale che
tale fattispecie assume a tutela (nella specie, l'interesse sostanziale
alla tutela del territorio e del paesaggio), nella quale gli elementi
di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato
descrittivo.
È la stessa descrizione normativa del reato che impone
al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono
a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo
(per un'ampia disamina della questione si rinvia testualmente a
Cass., Sez. III 21.1.1997, Volpe ed altri, le cui argomentazioni
appare superfluo trascrivere per evitare l'ulteriore appesantimento
della trattazione).
A norma dell'art. 101 della Costituzione, il giudice è soggetto "soltanto" alla
legge e non sarebbe soggetto soltanto alla legge un giudice penale
che arrestasse il proprio esame all'aspetto esistenziale e formale
di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali
(vedi, per tale affermazione, Cass., Sez. III 2.5.1996, n. 4421,
ric. Oberto ed altro).
Vanno qui ribaditi, pertanto, i seguenti principi:
- il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa,
potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione (approvazione
del piano di lottizzazione) sia per il contrasto della stessa con
le prescrizioni degli strumenti urbanistici; sicché non
può obiettarsi la non prospettabilità del reato laddove
esista un piano di lottizzazione approvato, ma possa per contro
affermarsi la contrarietà dello stesso agli strumenti urbanistici
sovraordinati (Cass., Sez. III, 16.11.1995, ric. Pellicani);
- i soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, i titolari
di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori, hanno
l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione
e-o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni
di pianificazione, perché l'interesse protetto dalla legge
n. 47-1985 non è soltanto quello di assicurare che la modifica
del territorio avvenga sotto il controllo della P.A. ma è altresì quello
di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al
programmato assetto urbanistico ed il rilascio della concessione
edilizia è subordinato all'indagine di conformità alla
normativa urbanistica in genere ed ai piani regolatori (vedi Cass.,
Sez. III 13.3.1987, ric. Ginevoli ed altri).
Il vero problema investe l'elemento psicologico ed è quello
di non sottoporre a sanzione penale colui che "effettivamente" e
senza sua colpa si sia fidato dell'atto amministrativo illegittimo.
9. L'elemento soggettivo dei reati.
Ai sensi dell'art. 129 c.p.p. deve rilevarsi l'insussistenza dell'elemento
soggettivo dei reati contestati - alla stregua di quanto previsto
dall'art. 5 cod. pen. nell'interpretazione fornita dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988 - poiché tutti
gli imputati sono incorsi in errore scusabile nell'interpretazione
delle norme violate.
Le argomentazioni svolte in proposito dal giudice di primo grado
risultano esattamente ricollegate (previa diffusa ed accurata disamina
della giurisprudenza di questa Corte Suprema in tema di "ignoranza
inevitabile e scusabile", a partire dalla sentenza 18.7.1994,
n. 8154 delle Sezioni Unite):
- all'esistenza di una legislazione regionale oscura e male formulata
che, nell'interferenza con la legge Galasso, non ha mancato di
produrre contrasti giurisprudenziali;
- all'ottenimento delle concessioni edilizie accompagnato da ripetute
rassicurazioni del direttore dell'ufficio tecnico del Comune di
Bari;
- alla mancata riproduzione dell'esistenza dei vincoli nella planimetria
allegata al secondo programma pluriennale di attuazione (trasmessa
alla Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali in data
26.10.1984 ed in ordine alla quale tale ultimo organo ebbe a richiedere
spiegazioni ed a sollevare eccezioni solo in data 10.2.1997, restando
poi inerte nell'attesa di una risposta intervenuta, quasi un anno
più tardi, con nota comunale del 26.1.1998);
- al comportamento di sostanziale inerzia della stessa Soprintendenza
a fronte di una attività di edificazione che (secondo la
valutazione poi espressa in data 30.4.1998, con nota indirizzata
al Ministero dei beni culturali ed ambientali) presentava un "impatto
ambientale negativo percettibile visivamente".
È vero che lo stesso giudice di prime cure non ha mancato
di evidenziare la singolarità (ai limiti del paradossale)
della "assoluta disinvoltura con la quale si è svolto
il complesso procedimento amministrativo che ha portato all'improvvido
rilascio dei provvedimenti autorizzatori e concessori.
Procedimento assolutamente illegittimo ai limiti della illiceità,
con macroscopica ignoranza delle finalità rappresentative
e di tutela della collettività intrinsecamente connesse
alla funzione pubblica... tanto da fare sorgere il dubbio che la
Pubblica Amministrazione avesse tutt'altre finalità da perseguire,
e non certo a tutela di interessi pubblici, quali potrebbero essere
quelle di consentire a tutti i costi la edificazione della zona
in questione nonostante i divieti normativi".
Anche in relazione a tali affermazioni la pubblica accusa ha avuto
a dolersi, con i motivi di appello, della riconduzione della vicenda
ai parametri dell'inevitabilità dell'ignoranza della legge
penale ma - tenuto pure conto che il reato di lottizzazione abusiva
si configura come una contravvenzione di natura dolosa (Cass.,
Sez. Unite, 28.2.1990) - non può mancarsi di rilevare che:
- non sussiste la dimostrazione di uno stato di incertezza degli
imputati in ordine alla liceità o meno dei loro comportamenti
(tale da indurli ad astenersi dall'azione);
- essi non si sono "accontentati" delle "assicurazioni
erronee" di organi tecnici comunali non istituzionalmente
preposti alla tutela del vincolo, ma hanno fatto affidamento sulla
mancanza di qualsiasi rilievo da parte della competente Soprintendenza,
non inconsapevole della situazione;
- ben più approfondite indagini sarebbero state necessarie
per individuare le motivazioni dei comportamenti tenuti degli organi
pubblici coinvolti nella vicenda, valutare le correlazioni tra
tali organi ed i soggetti destinatari delle loro illegittime determinazioni,
ravvisare l'eventuale esistenza di condotte coscienti e volontarie
dirette a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto e di diritto,
la riserva pubblica di programmazione territoriale che la legge
vuole rispettosa dell'ambiente e del paesaggio.
Indagini siffatte non sono state eseguite, sicché non sono
consentite illazioni e la prospettazione dell'errore interpretativo
non trova alcuna smentita che si fondi su elementi concreti.
10. I rapporti tra il procedimento incidentale ed il giudizio
di cognizione in relazione alla situazione fattuale e ai principi
di diritto enunciati.
La difesa - come si è detto nella parte espositiva - non
ha mancato di riferirsi alle sentenze emesse da questa Corte Suprema,
in sede cautelare, in data 17.11.1997 ed ha rilevato che, con quelle
decisioni, la Cassazione affermò il principio secondo il
quale, in base alle leggi vigenti all'epoca della lottizzazione
e delle concessioni edilizie, l'area in contestazione non era gravata
da vincoli paesaggistici.
Tale principio risulta ribadito dalla impugnata sentenza della
Corte di merito e viene rimesso invece in discussione dalle impugnazioni
in esame, laddove "avrebbe potuto e dovuto all'epoca determinare
chi di competenza a chiedere un provvedimento di archiviazione
della notizia di reato".
Sulla base di tale constatazione la stessa difesa afferma "il
principio della vincolabilità della sentenza emessa in sede
incidentale" e prospetta la tesi secondo la quale "anche
le sentenze emesse dalla Corte di Cassazione in sede incidentale
subiscono la stessa disciplina di quelle indicate dal n. 3 dell'art.
62 7 c.p.p. ".
Trattasi di argomentazioni e conclusioni che non possono essere
condivise.
Questa Corte, nelle sentenze del 17.11.1997, non ha potuto anzitutto
valutare la questione del vincolo correlato alla presenza del torrente
Valenzano (che ancora non costituiva oggetto di contestazione)
e comunque ha avvertito testualmente che la conclusione che la
zona non fosse gravata da vincoli veniva formulata dal Collegio "allo
stato degli atti, salva differente valutazione da parte dei giudici
di merito, all'esito di possibili ulteriori investigazioni ed acquisizioni
probatorie".
Con tale avvertimento è stato esplicitato e ribadito l'incontestato
riconoscimento giurisprudenziale della natura incidentale e sommaria
del procedimento cautelare e della sua piena autonomia rispetto
al giudizio di merito.
Le misure di cautela reale, nel nostro sistema processuale, impongono
al presente, in funzione di un futuro, un sacrificio alla libera
disponibilità delle cose.
L'imposizione del "costo" della cautela è giustificata
dalla probabilità della trasformazione del danno temuto
in danno effettivo e dall'accertamento della probabile (ma non
sicura) esistenza futura della situazione da cautelare. Il riscontro
di tale "apparenza" della fondatezza dell'accusa, in
questa prospettiva, non è pertanto di certezza (la cautela,
al contrario, in tanto viene in questione in quanto sussiste la
incertezza della futura situazione che si vuole cautelare) ed è necessariamente
sommario, perché viene formulato "allo stato degli
atti".
Ne consegue che il procedimento incidentale, in materia di misure
cautelari reali, è retto dal principio "rebus sic stantibus" ed
in esso il giudizio di legittimità della Corte di Cassazione
risulta circoscritto, poiché è rivolto all'apprezzamento
della sufficienza del grado di apparenza e cade in un momento processuale
caratterizzato dalla parzialità delle indagini e dalla sommarietà e
provvisorietà delle imputazioni.
Non è consentito, infatti, in quella sede - proprio per
l'assoluta autonomia rispetto al giudizio di cognizione - verificare
la sussistenza del fatto reato, ma soltanto accertare se il fatto
contestato sia configurabile quale fattispecie astratta di reato
(vedi Cass., Sez. Unite: 4.5.2000, n. 7 e 7.11.1992, n. 6). Si
tratta, secondo un'autorevole dottrina, di autonomia strutturate
risultante anche sul piano oggettivo, nel senso che oggetto del
procedimento incidentale è una questione particolare, da
trattare e risolvere in tale sede con conclusione che si limita
e si arresta a quello specifico procedimento.
La pronunzia emessa in sede cautelare, pertanto, resta circoscritta
nell'ambito del procedimento incidentale ed ha effetti soltanto
sulla misura cautelare. Essa non vincola, invece nè l'apprezzamento
del P.M. quanto alla rilevanza degli elementi indiziari acquisiti,
nè quello del G.I.P., ai fini del rinvio a giudizio, o del
giudice del dibattimento (vedi Cass.: Sez. Unite, 12.10.1993, n.
20, Durante e Sez. III, 9.2.1998, n. 1492, Svara ed altro).
È
la coerenza stessa del sistema che non tollera il concorso di due
pronunce giurisdizionali sul tema della "colpevolezza":
l'una incidentale e di tipo prognostico e l'altra fondata sul pieno
merito e come tale suscettibile di passaggio in giudicato (vedi
Corte Cost., sentenza 15.3.1996, n. 71, in tema di misure cautelari
personali).
Cosa ad evidenza diversa è la preclusione di natura endoprocessuale,
suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse dalla
Corte di Cassazione all'esito del procedimento incidentale di impugnazione
avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, che comunque
ha una portata ben più modesta rispetto a quella propria
della res iudicata, perché è anch'essa operante soltanto
allo stato degli atti.
Ne consegue che l'eventuale enunciazione di principi in sede cautelare
non incontra il limite di cui all'art. 627 c.p.p. (relativo al "giudizio
di rinvio" ed intimamente connesso, ai sensi del successivo
art. 628, ai profili di impugnabilità della sentenza del
giudice di rinvio) e può rilevare, al massimo, ai sensi
dell'art. 5 cod. pen., ove non siano modificate le situazioni fattuali
ovvero non esistano differenti ricostruzioni.
11. La confisca del terreno lottizzato e delle opere abusivamente
costruite.
Deve essere disposta, a norma dell'art. 19 della legge n. 47-1985,
la confisca e l'acquisizione gratuita al patrimonio del Comune
di Bari dei suoli abusivamente lottizzati e dell'intero complesso
immobiliare di cui ai piani di lottizzazione nn. 141 e 151 del
1989.
Trattasi - secondo la giurisprudenza costante di questa Corte
Suprema - di provvedimento obbligatorio per il giudice che accerti
la sussistenza di una lottizzazione abusiva, anche indipendentemente
da una pronuncia di condanna (vedi Cass., Sez. III: 13.7.1995,
ric. Barletta; 20.12.1995, n. 12471, ric. P.G. in proc. Besana
ed altri; 15.10.1997, ric. Sapuppo ed altri; 23.12.1997, n. 3900,
ric. Farano ed altri; 11.1.1999, n. 216, ric. lorio Gnisci Ascoltato).
12. Le imputazioni di cui all'art. 20, lett. a), della legge n.
47-1985
Non è configurabile il concorso formale, di reati tra le
contravvenzioni edilizie contestate ai sensi dell'art. 20, lett.
c), della legge n. 47-1985 e quelle di cui all'art. 20, lett. a)
specificate ai capi E), K) e Q) della rubrica!, previsione legislativa,
quest'ultima, che introduce una ipotesi di norma penale in bianco
configurante sostanzialmente una categoria residuale di condotte
penalmente rilevanti (vedi Cass., Sez. III, 30.1.1988, ric. Ferrari)
: nel caso di realizzazione di opere in assenza o in totale difformità della
concessione edilizia, pertanto, il reato più grave ricomprende
ed assorbe quello riferito all'inosservanza delle regole fissate
(dagli strumenti normativi urbanistici, ed in particolar modo dalle
norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, dal
regolamento edilizio e dalla concessione edilizia medesima) per
l'attività costruttiva (vedi Cass., Sez. III, 18.3.1988,
ric. Furlan).
Ne consegue che, nella fattispecie in esame, le imputazioni di
cui all'art. 20, lett. a), della legge n. 47-1985 specificate ai
capi E), K) e Q) della rubrica! devono essere ricomprese nelle
rispettive contestazioni di cui all'art. 20, lett. c), della stessa
legge.
Sull'imputazione di cui al capo D) della rubrica (edificazione
in totale difformità rispetto a quanto assentito con la
concessione edilizia n. 67-92 del 19.1.1995, per modifiche al prospetto
ed alla sagoma) si è formato, infine, il giudicato, poiché la
stessa non ha mai costituito oggetto dei motivi di appello.
P.Q.M
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 608 e 615 c.p.p.,
dichiara manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale
dell'art. 146 del D.Lgs. n. 490-1999 ed irrilevanti le questioni
di illegittimità costituzionale delle leggi regionali denunciate.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché i fatti
non costituiscono reato, in ordine a tutte le imputazioni contestate,
esclusa quella di cui al capo D) della rubrica, per essersi formato
su di essa il giudicato, e ricomprese le imputazioni di cui all'art.
20, lett. a), della legge n. 47-1985 nelle rispettive contestazioni
di cui all'art. 20, lett. e), della stessa legge.
Dispone la confisca e l'acquisizione al patrimonio del Comune
di Bari dei suoli e dell'intero complesso immobiliare di cui ai
piani di lottizzazione nn. 141 e 151 del 1989.
ROMA, 29 gennaio 2001
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 MAR. 2001
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