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Un villaggio mai nato l’"aborto" di Pietregea
Nel cantiere sequestrato due anni fa a Polignano
il reportage
PAOLO BERIZZI (13 gennaio 2001)

Polignano — L’ecomostriciattolo ha una testa e nove braccia: qualcuna lunga, qualcuna più corta, ma egualmente deformi. La testa è un accrocchio di tanti pezzi: intorno alla cassa cranica, lo scheletro di una vecchia villona mozzafiato anni Settanta, ci hanno costruito il nuovo che doveva avanzare, il blocco centrale del complesso, cioè la hall — o chissà cos’altro — mancante e mancata. Due piani, tre, se si considera quello sotterraneo: stanze, corridoi, scale e scalette, terrazzi e muretti. L’unica, vera, orma del passato è la piscina. Abbandonata a se stessa come tutto, qui: ha contorni sinuosi, pareti scrostate, gli oblò nelle pareti che potevi vederci i piedi "spinnare" nell’acqua; corre lungo un lato dell’accrocchio, la vasca, ma non riesce ad ingentilire il mostriciattolo.
Le braccia, poi. Nove blocchi brutti per davvero, perpendicolari o paralleli uno all’altro, le finestre un po’ rettangolari un po’ a mezza luna, così, senza tanto badare. Lì, dalle braccia, sarebbero venuti fuori un centinaio di appartamenti. E gli inquilini che (si spera) non verranno mai avrebbero avuto un’amara sorpresa: il mare è a venti metri, ma da qui, da dentro le stanze, fai fatica a scorgerne l’azzurro.
Di fronte c’è un altro braccio, tiè, e addio vista. L’ecomostriciattolo di Pietregea — il nome fa quasi sognare — non l’hanno ancora ammazzato, l’hanno solo reso inoffensivo: il cantiere è fermo. Da due anni, da quando la Procura di Bari lo ha messo sotto sequestro. Abuso edilizio. Ciao legge Galasso. Violazione dei vincoli paesaggistici. E altri sei bei capi d’imputazione. In due parole: Pietregea è un aborto. Malriuscito. Lambito dalla schiuma del mare, venuto su in men che un niente nel ’97; caso unico in un tratto di dodici chilometri di costa, a tratti incantevole e, soprattutto, ancora intonso.
Siamo tra San Giovanni, una frazioncina di Polignano a Mare, e Cozze, frazione di Mola. Macchia mediterranea. Tamerici, mirto, canne (la zona è umida), ci hanno piantato anche pitosfori e acacie, gli artefici del mostriciattolo. Volevano fare il colpaccio. Villaggio turistico, forse una multiproprietà. La storia dello scempio te la racconta uno che ci combatte contro da una vita: Mimmo Lomelo, consigliere regionale dei Verdi, indefesso paladino dell’antiabusivismo a Polignano e in tutta questa parte di litorale. Dice: «Il proprietario del complesso (al momento del sequestro), Michele Arcangelo Liantonio, titolare di una grossa tipografia a Palo del Colle, aveva rilevato il terreno, e la villa, costruita trent’anni fa da Pietro Bello, un riccone dell’ex Banca d’America e d’Italia. Nel ‘97, mentre io presentavo un emendamento in Regione, per far diventare area naturale protetta tutta questa fascia costiera, iniziarono a costruire. Come? Grazie a un mezza furbata: chiesero la concessione edilizia alla Sovrintendenza la quale, non si sa il perché, invece di rispondere (di no) al comune di Polignano, comunicò l’alt a Roma. L’apparente silenzio—assenso della Sovrintendenza, fu cavalcato dalla proprietà per diffidare il sindaco di Polignano (all’epoca Simone Di Giorgio): dacci la concessione e noi ricambieremo mettendo a disposizione dei locali per una scuola alberghiera». Fatta. Fino a quando il pm Roberto Rossi ha voluto vederci chiaro. E ha ordinato: fermi tutti. Poi i ricorsi degli imputati: proprietario, costruttore, direttori dei lavori. Ma, di nuovo, fermi tutti (la prima udienza è in programma il 25 gennaio davanti al tribunale di Monopoli).
Il mostriciattolo, adesso, non fa più paura; ne ha spaventati tanti, però. Forse lo abbatteranno. Willer Bordon, ministro dell’Ambiente, l’ha preso di mira. È uno degli undici obbrobri, insieme all’Orco di Bari, Punta Perotti, per le quali, tuona, non si può più attendere: avanti con le ruspe. Pietregea, a osservarlo mentre scendi giù dalla stradina sterrata e bucherellata come un groviera che si snoda dalla statale 16 verso la costa rocciosa, fa moderatamente, ma inesorabilmente, schifo. Provi a immaginartelo ultimato, inghirlandato: con l’accesso al mare, già tracciato; col forno per le pizze, a ridosso della spiaggia, acceso; col piccolo prato all’inglese al posto di fango e erbacce; con la piscina piena d’acqua di mare e non di melma. Non riesci, adesso fa schifo e basta. Dispiace per chi ci passa. Dispiace per le coppiette che amoreggiano sui sedili dell’auto, là in fondo, dove va a finire l’ultimo braccio del mostriciattolo. Dispiace, più di tutto, per quel povero trullo, piccolo e indifeso, schiacciato tra il muro di cinta che separa Pietragea dal mondo civile e uno dei nove blocchi di cemento. Una volta, nel trullo, ci mettevano gli attrezzi i contadini, oggi ci cadono sopra i cavi (luce, gas, acqua) del mostriciattolo.

 
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