23/12/2002
INTERVISTA
Le problematiche dell'urbanistica
a Bari
BARI – “Non sono d’accordo
con la visione aristocratica del sindaco di Bari, che forse non
condivisa dagli stessi partiti della coalizione che lo sostiene.
I risultati sono davanti agli occhi di tutti: una città bloccata
dalle risorse investite solo in operazioni di abbellimento, non
di espansione. Il suo disegno è quello di trasformare
le aree libere urbane di poco costo in situazioni edificabili,
e di bloccare, invece, tutte le aree previste con certezza dal
Piano regolatore generale, perché troppo costose. Un progetto
di compressione della città che deve far riflettere soprattutto
gli imprenditori e gli operatori del settore dell’edilizia
sull’effettiva coerenza della coalizione di centrodestra,
rispetto alle promesse elettorali. Essi hanno bisogno di conferme
sui diritti acquisiti e di forti iniezioni di libera concorrenza,
non di protezionismi difensivi, seppur ammantati di buoni propositi
tendenti alla riqualificazione urbanistica”. I temi riguardanti
il futuro assetto urbanistico di Bari e l’elevazione del
livello della qualità della vita cittadina, sono pane
quotidiano per il presidente barese della Margherita Michele
Monno. Profondo conoscitore delle nuove tecnologie applicate
all’edilizia privata, prima che esponente politico, l’imprenditore
barese interviene a pieno titolo nel dibattito sullo sviluppo
di Bari.
La nuova questione urbanistica
di Bari, parte, paradossalmente, dalla soluzione di un’acuta
emergenza ambientale. L’area ex Fibronit di Japigia,
l’ex gasometro del Libertà e l’ex Stanic
di via Buozzi, sono le tre bombe ecologiche da disinnescare.
Da qui, anche il dibattito sui futuri disegni urbanistici della
città.
“La subordinazione di qualunque progetto
edilizio alla sicurezza ed alla bonifica ambientale sono dei
principi sacrosanti per la qualità della vita. Bari ha
sempre trascurato il problema Fibronit, l’amministrazione è responsabile
di aver perorato, per anni, la causa della rimozione di una massa
di rifiuti pericolosi, senza averne mai un'esatta conoscenza
della sua quantificazione. Ci sono volute le inchieste della
Magistratura per prendere atto dell’impressionante quantità di
residui di amianto, immagazzinati nei sotterranei dell’ex
fabbrica di Japigia. Sull’urgenza dell’intervento
di bonifica e messa in sicurezza si è raggiunta, per fortuna,
l’unanimità della città. Anche gli ambienti
di centrodestra, che avevano forzato la mano nel passato con
gli azzardati progetti urbanistici del Prusst, concordano sulla
priorità ambientale. Bisogna recuperare il tempo perduto,
la sicurezza vuol dire diritto fondamentale alla salute. E sarà necessario
operare con la massima cautela, perché oggi nessuno può garantire,
con le tecnologie esistenti, la massima sicurezza. Tutte le metodologie
di bonifica sono da sperimentare e sarà necessario seguire
passo dopo passo questi lavori. Nulla è dato per scontato.
E’ un problema della sicurezza delle tecnologie industriali,
non di interessi di parte o piani regolatori, non scuole di pensiero
o di filosofia. Se non hai le medicine per combattere un male,
non puoi fare le sperimentazioni rischiando un epidemia generale.
Per i suoli dell’ex gasometro, la stessa indagine dell’amministrazione
comunale ha riscontrato una situazione molto critica, addirittura
si ipotizza che gli idrocarburi possano aver inquinato anche
la falda acquifera. L’area ex Stanic che, in ogni caso,
va acquisita al patrimonio comunale perché è un
grande polmone alle porte di Bari, sembra destare meno preoccupazioni.
La proprietaria Eni si è impegnata per la bonifica, e,
se non altro, rispetto alle altre due aree, almeno lì c’è qualcuno
che conosce l’esatta composizione dei veleni presenti”.
Il centrosinistra ha abbracciato
la tesi dei tre parchi urbani, dopo la necessaria bonifica
e messa in sicurezza. Dal versante del governo cittadino, talvolta
in contrapposizione con gli stessi partiti che lo sostengono,
si vuol disegnare il futuro sviluppo della città proprio
a partire dalle grandi idee progettuali che hanno per oggetto
proprio le tre aree ex industriali.
“Parchi urbani non ne abbiamo e sono necessari
non soltanto come polmoni verdi, ma anche perché la manutenzione
di un parco è completamente diversa, in termini di costi
e di valorizzazione, rispetto al mantenimento di tantissimi giardinetti
pubblici. Condivido la necessità di parchi urbani, visto
che l’unico previsto, quello di Lama Balice, non è stato
ancora completato. Gli imprenditori e gli operatori dell’edilizia
devono prendere coscienza rispetto all’attuale Giunta.
Simeone Di Cagno Abbrescia ha per disegno quello di trasformare
le aree libere urbane di poco costo in situazioni edificabili,
e di bloccare, invece, tutte le aree previste con certezza dal
Piano regolatore generale, perché troppo costose. Quest’azione è in
contrasto stridente con gli interessi consolidatisi dopo l’approvazione
del Piano regolatore generale del 1976. In pratica, il disegno
del sindaco, non so quanto condiviso dai partiti del centrodestra
che lo sostengono, blocca l’attuazione delle aree dei servizi
per la residenza, e progetta tutte le iniziative su due aree
industriali dismesse come l’ex gasometro e l’ex Stanic.
Ci troviamo davanti ad una visione radical, molto aristocratica
della città: una città bloccata, niente macchine,
una città da comprimere. Il blocco viene dalle risorse
investite solo in operazioni di abbellimento, non di espansione.
Di contro, abbiamo una sinistra radical-massimalista che fa esattamente
il verso al sindaco su queste questioni. Le bombe ecologiche
hanno determinato la fissazione di trasformare aree ex industriali
dismesse in zone destinate, per esempio, all’ampliamento
dei siti universitari, o dei nuovi uffici comunali, invece di
implementare le aree già esistenti e già previste
in Prg per fare gli stessi interventi, cioè quelli dei
servizi per la residenza.
E qui entra in ballo,
finalmente il vero problema urbanistico. Il Prg formulato dall’architetto
Quaroni, seppur datato, tiene al suo interno segmenti programmatori
mai attuati, che possano ancora essere utili al progetto di
espansione della nuova Bari?
“Il Prg non può essere travalicato
per quanto riguarda le zone residenziali, perché ha costituito
determinazione dei diritti. Il vero problema non sono le zone
già acquisite per la residenza ed il terziario direzionale,
ma è quello che non si possono negare i diritti acquisiti.
Ci sono i concordati dello Stato, le tasse già pagate,
e così via. I problemi urbanistici sono di due tipi: quello
del residenziale e uffici, e quello dei servizi per la città e
per la città-regione. E’ necessario intervenire
sul Prg per le aree dei servizi generali. Ci sono milioni di
metri cubi, diffusi nei vari quartieri, destinati a servizi per
la residenza. Un esempio è il complesso edilizio di via
Nazariatz dov’è stato allocato il tribunale, ma
queste aree possono essere destinate anche alla realizzazione
di mercati, scuole, uffici. E’ necessario riprogrammare
la città su questo tipo di servizi in quanto il Comune
ha bloccato la destinazione specifica delle aree. Nella procedura
di ritipizzazione, si potrà trovare l’eventuale
pericolo della richiesta di esproprio, con l’applicazione
di prezzi congrui, che lo Stato ha già determinato nel
contenzioso con tutti i proprietari. Si tratta di un prezzo di
circa 100mila vecchie lire al metro cubo. Un grande onere per
il Comune che, se costretto ad espropriare, potrebbe ritrovarsi
in dissesto finanziario. Ecco perché invece di pensare
ad attuare la programmazione e il Prg per i servizi alla residenza,
si è preferito operare sulle aree dismesse a destinazione
industriale. Eppure, il Piano Quaroni aveva previsto una città policentrica,
con zone decentrate destinate, per esempio, ad alloggi per studenti,
Università, nuova edilizia ospedaliera. Questa visione
globale si è realizzata solo in due direzionali aggregati:
l’Executive di via Amendola ed il complesso di Poggiofranco
che ruota intorno all’hotel Sheraton. Certo mancano le
diverse esigenze di una città del terzo millennio. Chi
poteva prevedere, negli anni sessanta, i porti per container
o quelli dei grandi transatlantici?. Una rivisitazione globale
delle aree è di grande interesse per i costruttori degli
appalti pubblici. Il guasto dell’attuale Giunta è quello
di aver impegnato risorse ed energie mentali per ristrutturare
le aree a basso costo che possono essere acquistate, invece di
ripristinare la riorganizzazione dei servizi per la residenza
e le aree pubbliche del Prg. Per fare questo, è necessario
mettere mani ai servizi essenziali, come, per esempio, portare
a termine l’asse nord sud, e pensare finalmente la ferrovia
per il futuro, risolvendo il problema dell’attraversamento
di Japigia. Nessun programma, invece, per il quartiere più penalizzato
dal ferro. Stanno ingolfando un’area mostruosa senza possibilità di
alleggerirla con la viabilità. La piccola via Gentile
deve subire un forte impatto con i nuovi servizi del direzionale,
cui si aggiungerà il nuovo palazzo della Regione. Una
cosa spropositata”.
Il secondo problema urbanistico,
quello dell’edilizia residenziale, tocca in maniera più netta
i privati cittadini ed il mercato edilizio in generale.
“Il Prg in questo campo non si può modificare
nell’indice di cubatura se non c’è l’accordo
degli stessi proprietari. Sul lungomare, addirittura, dopo Punta
Perotti si possono fare altre costruzioni regolari, perché previste
dai parametri dei Putt. E’ chiaro che dal momento in cui
parte della sinistra ha insistito sulla costruzione abusiva e
non illegittima di Punta Perotti, si è scatenata una informazione
sbagliata nei confronti dei cittadini. Abusiva è quando
si costruisce in un posto dove non si può. Là invece è previsto
perfettamente dal Prg del 1976. Lo sbaglio colossale dei Matarrese, è una
variante di piano di lottizzazione, fatta senza rispettare i
limiti e le distanze. Il Prg è una legge dello Stato e
per capovolgerla bisogna porre tutto a esproprio. A fronte di
questi espropri l’ente pubblico deve pagare oneri che il
fisco ha già accertato a livelli demenziali. Un meccanismo
perverso, perché il valore non è stato dato soltanto
con le transazioni tra privati, ma innalzato attraverso una decisione
accertatoria dello Stato, delle imposte di registro e dell’Ute
con valori molto più alti. Il rispetto dei diritti acquisiti
non si può aggirare. Si può intervenire sul Prg
soltanto per le aree di competenza dei servizi pubblici, strade,
viabilità, che sono una grande parte delle aree di Bari.
Ma con l’attuale incertezza normativa, i privati non hanno
possibilità d’intervento, perché il Comune
non ha proceduto alla tipizzazione dei luoghi”.
Restano gli interventi
urbanistici possibili attraverso i Piani di riqualificazione
urbana. Uno strumento che, essendo legato ai fondi pubblici,
potrebbe cadere nel vecchio circuito vizioso della politica.
“Quando si comincia a parlare di riqualificazione,
si entra in un terreno minato. Bisogna valutare, di volta in
volta, la convenienza e l’efficacia degli interventi. Conosco
bene il Pru di Mungivacca, fatto, secondo me, con il preciso
obiettivo di saccheggiare l’erario pubblico. A fronte di
abitazioni di 65 metri quadrati, sono previsti interventi di
cosiddetta riqualificazione del costo unitario medio di 80 milioni
di vecchie lire ad appartamento. Mi si deve spiegare se non sia
più giusto ricostruire, dando agli abitanti, per esempio,
i balconi che mai avranno, gli ascensori che mai avranno. A questi
costi la riqualificazione si fa con nuove costruzioni. La valorizzazione
dei costi del piano di Mungivacca, lo fa rientrare nel demenziale.
Con un milione e 230mila di vecchie lire, senza suolo, si riesce
a costruire le migliori case nuove, con i balconi, gli ascensori,
i parcheggi interrati. Bisogna affrontare volta per volta le
problematiche del recupero o dell’abbattimento. Per esempio,
di fronte alla memoria storica della città (le cento masserie,
i siti storici, l'ex centrale del latte, il parco dell’ex
ospedale Cotugno) è giusto recuperare anche a costi più alti.
Non si può, furbescamente, rivendicare la riqualificazione
a tutti i costi, come per l’ex ospedaletto dei bambini
del Libertà, che avrebbe potuto benissimo essere abbattuto,
e, al suo posto, realizzata un’area verde in un quartiere
completamente sprovvisto. Gli ospedali non possono essere sempre
riqualificati, in altri paesi europei, per una questione anche
virale e di impatto epidemiologico, sono abbattuti dopo 30 anni”.
Quando si parla dell’assetto
urbanistico della Bari del futuro, salta fuori il tema del
rapporto tra la città ed il mare.
“Ricucire il rapporto di Bari con il mare è dovuto,
oltre che auspicabile. Ma la questione va rivista da Santo Spirito
a Torre a Mare, per tutti i 48 chilometri di costa cittadina.
Sarà difficile ricostruire questo rapporto, se non mettiamo
in cantiere un’idea di grande vertenza per i prossimi vent’anni
con il governo centrale, per ricontrattare il nodo ferroviario,
con l’interramento o lo spostamento dei binari. Allo stato
attuale, con interi quartieri spaccati in due, è difficile
immaginare una città ricucita al mare. Rispetto alle propagandate
iniziative di Simeone Di Cagno Abbrescia, c’è da
rilevare che, dopo aver profuso tante risorse dai bilanci comunali
in illuminazioni e in nuove spiagge, sarà difficile che
possa programmare interventi in tutti i 48 chilometri di costa.
Ho l’impressione che abbia utilizzato tutte le risorse
per concentrarle su Torre Quetta, per beni usufruiti non solo
dai baresi, ma anche da mezza provincia”.